Per il ripristino della natura piani nazionali entro due anni

La parola d’ordine è ripristino. O restauro del capitale naturale, proprio come per le opere d’arte. La Nature restoration law, il regolamento approvato a sorpresa dal Consiglio Ue del 17 giugno dopo un iter travagliato di due anni e con il voto contrario dell’Italia, segna un cambio di passo nella tutela della biodiversità. La normativa è uno dei testi-chiave del Green deal e mette nero su bianco gli impegni Ue per rispettare il Quadro nazionale sulla biodiversità sancito dall’Onu nel 2022 a Montréal. Per la prima volta l’Europa si dota di obiettivi vincolanti che entreranno in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue attesa a breve.

Del resto il quadro di partenza tratteggiato da Bruxelles non è molto confortante: l’80% degli habitat europei versa in cattive condizioni, il 10% di api e farfalle è a rischio estinzione e il 70% dei terreni è in degrado. Di qui il target per i Ventisette di attuare misure di ripristino efficaci per almeno il 20% degli ecosistemi terrestri (foreste, praterie, zone umide, laghi) e marini in cattivo stato entro il 2030 per arrivare al restauro totale entro il 2050. In particolare il settore agricolo dovrà focalizzarsi su tre indicatori: miglioramento dell’indice delle farfalle comuni, percentuale di superficie con elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità, stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati. Esultano le associazioni ambientaliste, mentre gli agricoltori temono di dover pagare un prezzo troppo alto per la svolta.

«La principale novità del regolamento – spiega Alessandro Leonardi, ad di Etifor, società di consulenza ambientale nata come spinoff dell’Università di Padova – è il cambio di paradigma: si passa da un approccio di protezione passiva a uno di ripristino. Per usare una metafora sportiva d’ora in poi si giocherà in attacco». Le imprese, aggiunge, «non devono avere paura perché le regole ora sono chiare e il nuovo paradigma rappresenterà per loro un’opportunità di business e di innovazione. Mentre l’agricoltura rigenerativa potrà essere la risposta agli sforzi richiesti al settore».

La palla ora si sposta a livello territoriale: entro la metà del 2026 i Paesi dovranno adottare piani nazionali di ripristino – su cui le associazioni agricole chiedono «buon senso» – in cui indicheranno nel dettaglio in che modo intendono raggiungere gli obiettivi da qui al 2050 con tanto di calendario. Dovranno anche inviare a Bruxelles rapporti annuali sui progressi e sull’attuazione delle misure previste. In caso di mancato rispetto degli obiettivi rischieranno una procedura d’infrazione. E come in ogni normativa europea è prevista la possibilità di un freno di emergenza, in questo caso nel 2033. In quella data la Commissione riesaminerà e valuterà l’applicazione delle norme e il loro impatto sui settori coinvolti, così come gli effetti socioeconomici più ampi. Al momento secondo le ultime stime dell’esecutivo Ue ogni euro investito nel ripristino offrirebbe un rendimento tra 4 e 38 euro.

«Per dare impulso all’attuazione delle nuove regole – conclude Leonardi – saranno decisivi gli strumenti di finanziamento privato con un ruolo di primo piano per la finanza sostenibile: si stanno affermando operatori dedicati, pronti a investire in aziende che hanno imboccato percorsi basati sulla natura». Lo scorso ottobre è nato l’Italian business & biodiversity working group, su iniziativa di Etifor, Forum per la finanza sostenibile, Regione Lombardia e European Business & biodiversity platform. Hanno già aderito un centinaio di imprese e fondi di investimento che intendono contribuire a un futuro “nature positive”.

Fonte: Il Sole 24 Ore