Per la carne di agnello ancora in diminuzione allevamenti e consumi

Per la carne di agnello ancora in diminuzione allevamenti e consumi

Continua la contrazione del mercato della carne di agnello. Secondo un report sul settore ovicaprino diffuso da Ismea, «nel 2022 si è significativamente ridotto il numero di capi avviati al macello (-8,5% rispetto all’anno precedente)». Nel 2022 è proseguita anche la frenata dei consumi (-25% in volume e -17% la spesa in valore), «confermando la dinamica negativa degli ultimi cinque anni». Si macellano capi mediamente più grandi con una tendenza alla «destagionalizzazione dei consumi», nota Ismea.

I capi presenti in Italia – circa 7,2 milioni, poco più di un milione di caprini e circa 6,15 milioni di ovini – sono in calo del 6,5% sul 2018.
Circa il 70% del patrimonio si localizza in quattro regioni: in Sardegna si alleva poco meno degli ovini (45%); seguono Sicilia (11%), Lazio e Toscana (rispettivamente 9% e 5%). In un solo anno inoltre sono sparite quasi 3.400 aziende su un totale di oltre 132mila (-7,2% rispetto a 5 anni fa).

Nonostante il calo rispetto all’annata precedente, i prezzi degli agnelli sono rimasti «su livelli elevati», sia «a causa della ridotta offerta ma anche sotto la spinta dei maggiori costi di produzione», mangimi in testa. Tuttavia nel primo trimestre 2023 «si è attenuata la spinta sui prezzi, anche come conseguenza di una maggiore pressione di prodotto estero, e i volumi nel canale retail nel periodo pre-pasquale sono stati superiori a quelli dell’anno precedente (+1,5%)».

La tendenza è simile in Europa dove «per il terzo anno consecutivo il patrimonio ovicaprino ha mostrato un calo significativo con circa 1,5 milioni di capi in meno rispetto all’anno precedente e che ha interessato soprattutto Spagna e Francia». La minore disponibilità di capi nazionali ha comunque sostenuto le importazioni di ovini vivi, che dopo tre anni consecutivi di flessione, hanno registrato un +19,6% nel 2022. In aumento anche le importazioni di carni (+21,3% in volume).

«Il settore della carne ovicaprina – conclude Ismea – sconta una serie di debolezze strutturali, a cominciare dall’eccessiva frammentazione dell’offerta, che rendono irrealizzabili economie di scala, non consentono di affrontare la variabilità dei costi di produzione, né di avere un potere contrattuale adeguato soprattutto nei confronti della Gdo. Esistono, tuttavia, diverse opportunità: innovazione, cooperazione, informazione e sostenibilità sono le parole chiave identificate dagli operatori per un approccio costruttivo volto allo sviluppo e al miglioramento della filiera delle carni ovicaprine».

Fonte: Il Sole 24 Ore