Per l’impatto dell’inflazione perso il 7,9% del potere d’acquisto rispetto alla fase pre Covid

Per l’impatto dell’inflazione perso il 7,9% del potere d’acquisto rispetto alla fase pre Covid

La frenata dell’inflazione e il rinnovo di numerosi contratti collettivi di lavoro stanno producendo una graduale crescita del valore reale delle retribuzioni. Ma c’è ancora molto terreno da recuperare. Ad aprile del 2024 ammontava ancora al 7,9% la perdita del potere di acquisto rispetto al 2019, anno precedente la diffusione dell’epidemia Covid, dovuta all’incremento dell’inflazione del biennio precedente. Anche le indagini Ocse confermano una perdita del 6,9% dei salari reali italiani (il confronto è tra il primo trimestre 2024 e il quarto trimestre 2019), insieme ad un ulteriore aumento della distanza rispetto alla media dei Paesi sviluppati legata alla bassa crescita della produttività.

Il rapporto annuale Inapp evidenzia come la dinamica dei salari nominali sia stata inferiore a quella dei prezzi per la quasi totalità delle attività economiche, anche se l’andamento è stato differenziato a livello settoriale. In minor sofferenza le attività bancarie, quelle assicurative e la manifattura. Risultano allineati alla media le costruzioni e i trasporti. In maggiore sofferenza il commercio, gli alberghi e ristoranti e l’informazione-comunicazione. Le cause sono molteplici: dai meccanismi previsti dai contratti collettivi per il recupero dell’inflazione ai ritardi dei rinnovi contrattuali rispetto alle scadenze, all’impatto differenziato della crisi pandemica nei settori.

L’impatto di 3-4 punti sulle retribuzioni di fatto del taglio del cuneo contributivo

L’Inps ha registrato per il 2024 le retribuzioni di fatto su livelli leggermente superiori rispetto a quelle contrattuali, e un impatto positivo sui salari netti di 3-4 punti percentuali dovuto al taglio del cuneo contributivo disposto con le leggi di bilancio degli ultimi tre anni (la riduzione del 7% dei contributi che gravano sui lavoratori per i salari fino a 25 mila euro lordi, -6% per i salari fino a 35 mila euro lordi, poi confermato per il 2025 come bonus fino a 25mila euro di retribuzione e come detrazioni fino a 40mila euro). Gli effetti più favorevoli hanno interessato i bassi salari. L’elevata copertura sul totale degli addetti dei settori si riduce al 78% per il peso del lavoro parasubordinato, delle collaborazioni continue e occasionali che risulta più rilevante nei comparti dei servizi e delle costruzioni. L’incidenza effettiva dei cosiddetti contratti pirata appare rilevante come numero dei contratti depositati al Cnel ma poco significativa per l’entità dei lavoratori e delle imprese effettivamente coinvolte.

L’andamento salariale risente della produttività in calo (-2,5%)

Sule dinamiche salariali, sottolinea l’Inapp, pesa l’andamento stagnante della produttività in diversi settori dei servizi, soprattutto a causa del tasso decrescente degli investimenti nei comparti dei servizi privati ad alta intensità di occupazione. L’ultima rilevazione dell’Istat (relativa al 2023) la produttività del lavoro è diminuita del 2,5% nel 2023. La dinamica negativa della produttività segue un lungo periodo di crescita, seppur lenta (+0,5% in media negli anni 2014-2023). (+0,5% l’incremento medio tra il 2014 e il 2023) per effetto di un aumento delle ore lavorate maggiore del valore aggiunto, la riduzione è diffusa a tutti i settori, inclusa l’industria.

Anche la produttività del capitale cala, dello 0,9%, e si riduce sensibilmente (-2,5%) la produttività totale dei fattori (PTF) che riflette progresso tecnico, cambiamenti nella conoscenza e variazioni nell’efficienza dei processi produttivi. Considerando le determinanti della crescita della produttività del lavoro, la marcata flessione della PTF ne spiega l’ampia diminuzione.

Fonte: Il Sole 24 Ore