Peter Glidewell: l’uomo ombra dei traffici di antichità di Almagià
Peter Cesare Glidewell, a molti questo nome dirà poco o niente, ma agli addetti ai lavori e nelle stanze del Ministero della Cultura il nome circola, eccome. Ritorna svariate volte nel mandato di arresto contro il mercante di antichità italo-americano, Edoardo Almagià, spiccato giovedì 31 ottobre dal giudice del Tribunale Penale di Manhattan, Rachel Pauley su richiesta di Matthew Bogdanos, capo dell’Antiquities Trafficking Unit (Atu) presso la Procura Distrettuale di Manhattan.
Descritto nell’arrest warant come “business partner” di Almagià, suo cugino, Glidewell è un uomo vicino all’ex sottosegretario Vittorio Sgarbi, attuale presidente del Mart di Rovereto, oggi indagato per riciclaggio e contraffazione beni culturali (per il quadro di Rutilio Manetti). Secondo l’arrest warrant, Glidewell ha fatto da broker per la vendita di due pezzi – un Rhyton e un Dinos (in foto esposti nel Museo dell’arte Salvata), venduti per 50mila dollari alla collezionista Shelby White sequestrati nel 2021 e restituiti all’Italia – e ha donato un pezzo trafficato da Almagià al Princeton Museum anche questo rubato all’Italia. Glidewell ha anche condiviso con Almagià, secondo il mandato d’arresto di 80 pagine, i profitti della vendita dei beni di provenienza illecita, elencati nel cosiddetto Yellow Book, il Libro Giallo, uno dei due quaderni che costituiscono l’Archivio Almagià con l’elenco di tutte le opere d’arte antiche, ce ne saranno più di cento, vendute in partnership da “AE” (Almagià Edoardo) e “PG” (Peter Glidewell).
Glidewell, classe 1957, è nato a Roma dopo aver studiato al Sotheby’s Institute of Art ha svolto consulenza per Sotheby’s Londra. Tra il 2001 e il 2002, ha lavorato come consulente del Ministro della Cultura italiano per la politica museale, essendo stato nominato dall’ex Vice Segretario del Ministro della cultura, Vittorio Sgarbi. Definito uno dei consiglieri più fidati di Vittorio Sgarbi, Glidewell si muove in bilico, come il suo maestro, in un territorio grigio.
Gli archivi dov’è tutto documentato
Nell’aprile 2006, gli agenti speciali del Dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti, con l’assistenza di intelligence degli ufficiali dei Carabinieri italiani, ottennero l’autorizzazione legale per entrare e fotografare il contenuto dell’appartamento di Almagià a New York nell’East 78th Street, così come il suo spazio di deposito in affitto al Manhattan mini-storage, situato nella 62nd Street a New York. Lì, gli ufficiali documentarono decine di antichità e pile di registri che delineavano nel dettaglio le operazioni di traffico delle opere oggetto di scavi clandestini. Nell’operazione le forze dell’ordine vi trovarono le transazioni di vendita annotate da Almagià nel “Libro Verde” e “Libro Giallo” dal 1986 al 2001.
Nel “Libro verde” Almagià elencò, in dettaglio un totale di quasi 2000 beni archeologici di provenienza italiana che aveva venduto dal suo appartamento di New York. Per farlo, spesso raggruppava i manufatti in base al tombarolo da cui aveva acquistato il materiale (identificando il tombarolo fornitore tramite il suo soprannome o le sue iniziali). Alcune voci elencate in questi registri indicavano sia il prezzo che Almagià aveva pagato alla sua fonte (spesso Mauro Morani), sia il prezzo a cui aveva successivamente venduto il reperto archeologico. A volte, alcune voci elencano persino a chi era stato venduto il manufatto trafugato.
Fonte: Il Sole 24 Ore