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Più soldi in busta paga ai ministeriali per allinearli alle agenzie fiscali
Accanto al tentativo di modificare il pubblico impiego del futuro prossimo, molte norme inserite nella bozza di decreto legge sulla Pa inciderebbero sul presente delle amministrazioni. E sulle buste paga di chi ci lavora.
L’armonizzazione
Sul punto la novità più diretta riguarda i ministeriali, e arriva dalla promessa di una nuova tappa dell’«armonizzazione dei trattamenti economici delle amministrazioni centrali e delle agenzie», come recita il titolo dell’articolo. In pratica, si tratterebbe di un aumento delle risorse accessorie, che finanziano le componenti aggiuntive della retribuzione, per un valore ancora coperto (sarà indicato in una tabella allegata al provvedimento) ma comunque in deroga al tetto che impedisce a questi fondi di superare il livello del 2016, aggiornato dello 0,22% dagli ultimi due contratti.
Stipendi diversi
La questione nasce dal fatto che la riforma Brunetta del 2009 ha accorpato agenzie fiscali e ministeri in un unico comparto, le «Funzioni centrali» in cui convivono con gli enti pubblici come Inps e Inail, riunendo però sotto lo stesso tetto stipendi molto diversi da loro. In una media che abbraccia personale e dirigenti, secondo le statistiche Aran il ministeriale-tipo guadagna 35.293 euro lordi all’anno, cioè il 21,2% in meno rispetto ai colleghi delle agenzie. Ad allargare la distanza è soprattutto, appunto, il trattamento accessorio, che nei ministeri si ferma a 10.163 euro l’anno contro i 15.086 (+48,4%) di chi lavora nel fisco. L’applicazione del contratto 2022/24, appena firmato, può attenuare un po’ questa distanza, che comunque rimane. Se la norma della bozza troverà la strada della Gazzetta Ufficiale, quindi, i ministeriali riceverebbero una doppia spinta, prodotta dall’unico rinnovo contrattuale del pubblico impiego e dall’armonizzazione.
Le altre novità
Nel reclutamento, poi, vengono introdotte percentuale minime che imporranno di passare da questa via per il 5% dei posti banditi nel 2025, del 10% nel 2026 e del 15% dal 2027. In questo modo si gestisce il ritorno dell’obbligo generalizzato senza imporlo per ogni bando, perché ogni Pa potrà scegliere come rispettare la quota, e si centra un obiettivo Pnrr. Per le graduatorie degli enti locali, poi, torna in campo la validità triennale prevista dall’articolo 91 del loro testo unico.
Fonte: Il Sole 24 Ore