Play – videogame arte e oltre: il videogioco come la pittura, la scultura e il cinema?

La mostra “Play – videogame arte e oltre”, in programma alla Reggia di Venaria Reale dal 22 luglio 2022 al 15 gennaio 2023 è concepita per porre domande a cui ogni visitatore può dare le proprie risposte. Cosa rappresentano i videogiochi? Sono un passatempo frivolo, una forma estrema di svago, un mezzo per estraniarsi da una realtà dai cui sfuggire o sono anche altro? Sono luoghi di socializzazione e di confronto? Sono strumenti per trattare temi importanti quali la guerra, l’amore, la morte e l’ambiente? Tra le tante domande ce n’è una fondamentale che permea la concezione della mostra: i videogiochi sono un’espressione culturale ed artistica del XXI secolo al pari delle altre arti?
Chi si aspetta alle porte di Ttorino la solita mostra con memorabilia rimarrà deluso. Non sono esposti oggetti vintage come il Commodore 64 o il Game Boy Nintendo e non ci sono postazioni dove giocare a Tetris, Space Invaders o con Super Mario Bros. È, paradossalmente, una mostra dove si gioca poco.

Il concept di Play

Play è un progetto artistico e culturale, dislocato lungo 12 ambienti del percorso espositivo delle Sale delle Arti, dove le tele digitali dei grandi maestri dei videogiochi entrano in dialogo con opere d’arte antiche e moderne. Durante tutto il percorso il visitatore è invitato a riflettere sull’estetica e sui temi attuali di cui il videogame si fa espressione. Noi di Arteconomy24 abbiamo visitato Play con una guida d’eccezione, Fabio Viola, docente, autore di saggi, co-curatore della mostra insieme a Guido Curto, direttore del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude. Ogni sala si presenta come un mondo diverso, sia dal punto di vista dell’allestimento, sia dal punto di vista dei messaggi veicolati. Il visitatore attraversa 12 ambienti, racchiusi in 1.000 metri quadrati, ognuno dei quali è una piccola mostra a sé stante con una propria chiave di lettura sui cambiamenti sociali, creativi, tecnologici, economici e identitari della nostra società. La visione globale degli ambienti restituisce la complessità e la profondità del linguaggio dei videogiochi, comunemente associato alla dimensione ricreativa. Tra le molte domande ne abbiamo scelto tre e lasciamo ai visitatori scoprire le restanti che guidano il percorso.
La prima domanda su cui ci soffermiamo è “I videogiochi sono arte?”. Con tale interrogativo si vuole suggerire come i creatori moderni di videogiochi siano profondamente influenzati dalle arti tradizionali.

L’aspetto interessante di questa sezione è il raffronto fisico tra le opere di maestri tradizionali con le grafiche e le litografie originali dei game designer più famosi al mondo. I videogiochi sono immagini statiche, racchiuse in una cornice o in uno schermo, in dialogo con opere di Calder, Kandinsky e de Chirico e proprio le architetture metafisiche del pittore italiano hanno ispirato le grafiche del videogioco giapponese “Shadow of the Colossus (NICO)”, prodotto da Sony. Un altro esempio rivela come le figure geometriche, i colori e le opere del pittore Alberto Savinio abbiamo ispirato il videogioco “Shin Megami Tensei III”, sempre di manifattura giapponese.

La seconda domanda a cui prestiamo attenzione ribalta la prima “I videogiochi influenzano l’arte contemporanea?”, in questa sezione della mostra l’interrogativo è se i videogiochi hanno ispirato gli artisti contemporanei e se questi hanno assorbito il gusto e l’estetica del gaming.

Andy Warhol, ad esempio, il 23 luglio 1985 presso il Lincoln Center di New York viene assoldato come testimonial dalla Commodore per promuovere il nuovo modello di computer Amiga 1000. In quell’occasione, davanti a un pubblico numeroso disegna con un mouse la prima opera d’arte digitale. L’artista americano, dopo quell’esperienza, si fa regalare il pc e continua a sperimentare e a disegnare arte digitale, realizzando una decina di opere mai pubblicate in nessun catalogo. I floppy disk e l’Amiga 1000, per vent’anni, rimangono chiusi in uno scatolone presso la Andy Warhol Foundation; ora queste opere sono visibili in mostra, grazie anche al prestito concesso dalla galleria Deodato Arte.
La terza domanda è “È tutta la vita un gioco?”, ispirata dal libro “Homo Ludens”, pubblicato nel 1938 dallo storico olandese Johan Huizinga che dimostra come l’azione giocosa sia alla base della civiltà umana. La domanda riconduce a una ricostruzione di quattro “ambienti”, che spaziano da una sala giochi giapponese dei primi anni ’80, a un ambiente domestico anni ‘90 provvisto di PlayStation, ai giorni nostri con una TV Touch Screen collegata a internet, fino a immaginare il futuro in un ambiente scarno con attrezzature per giocare nel Metaverso. Dunque una risposta ante litteram ce la fornisce lo stesso Warhol.

Fonte: Il Sole 24 Ore