Pogacar, terzo Tour de France per il cannibale del ciclismo moderno

Perplessità inevitabili. Non si sorprendano gli avvocati difensori. Chiunque sta sempre al centro della scena diventa anche antipatico. Un Grande Antipatico. È una legge dello sport e della vita. Il troppo storpia. Toglie suspense, umanità, il gusto della rivincita. È successo a Merckx, a Hinault, a Binda per stare nel ciclismo. A Bolt, Phelps, Federica Pellegrini, per stare in altre discipline. I giganti sono giganti, figure fuori dal coro. Però se non hanno altri giganti con cui battersi, finiscono per diventare dei Golia arroganti e ingombranti che, quando vengono colpiti dalla fionda del piccolo Davide, non ci impietosiscono per nulla. Però, sia al Giro sia al Tour, nessun Davide, a parte qualche volta Vingegaard, si è fatto avanti. Avevano tutti, giustamente, paura. Paura di prenderne ancora di più.

Sentimento, quello di non farcela, sconosciuto invece a Pogacar attirato come un bambino da qualsiasi cosa lo diverta. O gli dia il brivido della sfida, della trasgressione. La stessa idea della doppietta Giro e Tour nello stesso anno, per i canoni del ciclismo attuale, sembrava un’impresa impossibile. Un’audacia da pagare a caro prezzo come Ulisse davanti alle Colonne d’Ercole destinato a finire nel baratro.

E invece, per Tadej, niente baratro ma l’ingresso ufficiale nel prestigioso Club del Raddoppio, dopo Coppi e Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain e Pantani. Erano i magnifici sette. Ora con Pogacar sono i magnifici otto, ma l’impressione è che presto saranno gli altri sette a rimpicciolirsi

Un curriculum già mostruoso

Come tutti i grandi dittatori, con quel suo sorriso da monello burlone, Tadej è sfrontato e feroce. Pur non avendo ancora 26 anni (li farà il prossimo 21 settembre) ha già conquistato tre Tour de France e un Giro d’Italia vincendo sei classiche monumento come il Giro di Lombardia (3 volte), la Liegi (2) e un Giro delle Fiandre. Numeri che confermano che Tadej è già un fuoriclasse totale. Strepitoso nei grandi giri ma altrettanto dominante nelle corse di un giorno, come Eddy Merckx cui viene sempre paragonato. Però sono due epoche, e due ciclismi, troppo distanti: in tecnologia, investimenti, materiali, strade, alimentazione, medici, direttori sportivi, staff tecnico. Queste sono squadre che costano più di 50 milioni l’anno, tenute in piedi da multinazionali che in Italia ci sogniamo.

Un brutto gesto

Diciamo che di simile a Merckx, Pogaca ha solo una cosa: la sua insaziabile voglia di arrivare primo, sempre e comunque, Un istinto più forte di lui. Da predatore, appunto. Come è successo sabato sul Col de la Cuillole quando tutti si aspettavano che Tadej lasciasse la vittoria a Vingegaard, visto che il danese aveva tirato tutto il tempo per lasciare indietro Evenepoel.

Fonte: Il Sole 24 Ore