Polha Varese fucina di medaglie paralimpiche
La Défense Arena di Parigi si colora con il tricolore ogni giorno: l’Italia del nuoto paralimpico è uno squadrone di livello mondiale e sette dei suoi 28 atleti fanno parte della Polha Varese, società modello di inclusione. Simone Barlaam, Alberto Amodeo, Federico Morlacchi, Arianna Talamona, Giulia Terzi, Alessia Berra e Federico Cristiani sono tutti “figli” della Polha, che nel medagliere a fine Giochi di certo si classificherebbe molto più in alto di tantissime Nazioni. È una storia che parte oltre quarant’anni fa frutto di intuizione e perseveranza.
Quarant’anni di progetti
Nel 1982, quando Giacinto Zoccali, fisioterapista di mestiere, matura la certezza che lo sport apre vite nuove ai disabili, è già nel futuro. Il 13 marzo di quell’anno, fonda a Varese la Polha (Polisportiva handicappati, poi divenuta Associazione polisportiva dilettantistica per disabili) e ne diviene presidente. In quegli anni tanti erano i poliomielitici che cercavano risposte e il canadese Arnold Boldt, amputato sopra la gamba, capace di saltare 1,86 metri nel salto in alto maschile offriva prospettive da sogno. Così è partita la Polha, un’intuizione, tante necessità e il volontariato come benzina nel motore. E oggi si ritrova sul tetto del mondo con i suoi sette nuotatori e nuotatrici protagonisti in Francia.
Lo sport offre sempre una possibilità
I medagliati di Parigi sono la punta più luminosa di questa esperienza associativa che ha davvero pochi paragoni nel mondo: 160 associati (dai 5 anni in su) e 90 volontari, fra tecnici, fisioterapisti, psicologi dello sport. Una macchina complessa e bellissima: «Dal 1982 a oggi non è cambiata la filosofia che ci muove e cioè dimostrare che lo sport offre sempre una possibilità», dice Daniela Colonna-Preti, presidente dal 1993, una laurea in biologia e mille vite vissute fra mamme e papà che arrivano alla Polha quasi persi, campi di gara, allenamenti, viaggi in pulmino per accompagnare gli atleti e ora i successi di Parigi. Dal 1982, la società si è strutturata, è cresciuta ma non ha mai cambiato il Dna. È arrivata una sede spaziosa, nel quartiere Avigno, ai piedi del Sacro Monte, ottenuta in comodato dal Comune di Varese e ristrutturata con le braccia e la disponibilità di tanti, imprese e cittadini: «Il Comune – ricorda la presidente – come tante realtà del territorio ha sempre appoggiato le nostre iniziative, le richieste e anche per questo siamo riusciti a crescere e a dare risposte al territorio». Oggi, nei 300 metri quadrati della sede, si allenano i ragazzi della boccia, Marinetta, capo segreteria, ha mille incombenze, c’è lo spazio per la fisioterapia, la palestra, per stare insieme, per l’ufficio della presidente. Dove ogni percorso comincia.
Il dialogo con le famiglie
Arrivano genitori coi loro bambini in difficoltà: «Nel primo colloquio provo a capire qual è la disponibilità allo sport, quale sport può essere a dimensione della disabilità che ho davanti e, nel giro di pochi mesi, sbocciano persone nuove, più serene. Se arrivano qui, se li avvicini, è impossibile che lo sport non li affascini». Le storie che Daniela può raccontare sono infinite dato che frequenta la Polha da quarant’anni: «Per caso una sera, trovai a una pizzata il presidente di allora Rodolfo Rossi che parlava dei campionati italiani per disabili a Modena, invitandomi ad andare a vedere gli allenamenti». Da quel giorno, allo stadio di Varese, Daniela ha “sposato” la Polha, una seconda famiglia, oltre ai suoi tre figli e alle sue tre nipotine. Ne ha fatto un lavoro, con umiltà e grinta.
La Polha avvia le persone allo sport, prova a spiegare coi fatti che lo sport esalta le abilità e non la disabilità. Lo fa grazie al volontariato, a progetti speciali con alcune aziende e alla generosità di tanti. Seguire 160 ragazzi significa trovare i tecnici, significa avere a disposizione strutture per accogliere chi pratica atletica (a Cairate e Varese), boccia (palestra Galilei), calcio balilla (in sede), handbike (stadio di Varese), kayak (Canottieri Varese), nuoto (Varese, Jerago e Milano), para ice-hockey (palaghiaccio di Varese) sitting volley (palestra Galilei), snowboard e tennis tavolo (palestra Galilei). Offrire queste opportunità significa anche un impegno finanziario annuale da 250mila euro, di cui 17mila vengono dalle tessere associative e gli altri da bandi, fondazioni, imprenditori, istituzioni, singoli cittadini che donano con gratuità. Perché conoscono l’impegno della società e i risultati. Dall’avviamento allo sport per i più piccoli fino allo sport di vertice: «La nostra società a Parigi porta sette nuotatori e un velocista (Fabio Bottazzini, ndr): solo i corpi dello Stato ne hanno di più e questa è la nostra soddisfazione», confessa la presidente che ha un’energia travolgente e una concretezza tutta femminile. A far debuttare la Polha alle Paralimpiadi fu Giovanni Alianelli nel 1984 a New York, poi a Seul 1988 (la prima Paralimpiade disputata negli stessi impianti dei Giochi), la prima medaglia con Rodolfo Rossi, bronzo nella 4×100 tetraplegici e, a seguire, Marco Re Calegari a Barcellona 1992 bronzo nei 1500 mt T54 (oggi l’atleta è responsabile del settore handbike della Polha).
Fonte: Il Sole 24 Ore