Politica industriale, l’Europa è in ritardo

Può esistere una visione dell’Europa senza l’industria? Può sembrare retorica, ma la domanda si pone se si guarda alla sequenza delle statistiche da due anni a questa parte. Non bastasse la spirale recessiva in Germania, oltre al calo dei volumi di produzione in Italia da molti trimestri a questa parte, anche in Francia oggi l’indice Pmi manifatturiero è ai minimi da nove mesi e ben sotto la soglia della recessione. La risposta alla domanda iniziale è ovviamente negativa, ma questo induce a riflessioni preoccupate su diversi piani.

Il primo è che, dopo le elezioni europee e la faticosa composizione della nuova Commissione, ancora non giungono chiari nuovi riferimenti alle imprese manifatturiere europee per orientare i loro piani strategici e di investimento. Finalmente, arrivano primi timidi segnali sulla neutralità tecnologica relativa agli obiettivi di decarbonizzazione, ed anche sullo sviluppo dei carburanti meno inquinanti. Ma il quadro relativo alla revisione del Green Deal resta ancora opaco e controverso, senza messaggi certi sui tempi, modi e risorse della transizione energetica. L’importazione di veicoli elettrici cinesi in Europa, nel frattempo, è aumentata di circa il 20 per cento, e il vantaggio competitivo dei produttori asiatici non ha nulla di naturale ma è stato costruito nel tempo. A partire da quei piani quinquennali degli anni Ottanta che contemplavano l’estrazione e l’embargo delle terre rare, con Deng Xiao Ping che affermava che i minerali rari sarebbero stati per la Cina quel che il petrolio è per la penisola arabica. Il tema della filiera automotive, comprese le prospettive del motore endotermico, è un esempio chiave di come il Green Deal andrebbe riletto e ripensato. O davvero si ritiene che i dazi siano l’unica soluzione?

Su un piano complementare, è noto che Italia, Germania e Francia assieme costituiscono ancora il principale esportatore al mondo, al lordo degli scambi intra-europei. Ma investono troppo poco in Intelligenza artificiale, mentre il venture capital nella Ue è un decimale di quello statunitense e il mercato dei capitali è ancora troppo frammentato. Ed inevitabilmente, il comparto industriale europeo ne risente, mentre nuovi forti segnali di protezionismo bancario percorrono il continente. A cosa è servito commissionare il bel Rapporto di Enrico Letta, se il mercato unico viene messo in discussione invece che promosso ed esteso? Solo imprese europee di dimensioni sufficienti possono investire in capitale innovativo e generare abbastanza utili per sostenere il passo di quelle americane. Gli investimenti in intangibles delle imprese high tech americane, comprese le grandi compagnie digitali, hanno sostenuto negli ultimi decenni la crescita della produttività statunitense mentre quella europea scivolava verso il basso. L’aumento del potere di mercato e del markup negli Usa, che pure i premi Nobel di quest’anno stigmatizzano nei loro lavori, ha tuttavia consentito più produttività e più occupazione manifatturiera di elevata qualità.

La sostenibilità economica dell’industria è vitale per il progetto europeo, e lo è soprattutto per la Germania. L’economia tedesca è bloccata in una stagnazione recessiva, con le stime più recenti che indicano una previsione negativa per quest’anno, mentre nel 2025 il Pil tedesco dovrebbe crescere di un modesto 0,9% invece che dell’1,5% come previsto in precedenza. Una crescita al ritmo dell’1,5% si registrerebbe,secondo l’Ifo, solo dal 2026, a causa di una crisi strutturale con investimenti troppo scarsi, soprattutto nel settore manifatturiero, e produttività stagnante. Eppure, e siamo al terzo piano di riflessione, il Rapporto Draghi che pone gli investimenti in innovazione e manifattura al centro del rilancio della competitività della Ue, è stato immediatamente criticato dal ministro delle Finanze tedesco per la parte che auspica di mobilitare la ricchezza privata con l’unico nuovo debito accettabile, quello comune europeo. Proseguendo così, il downgrading riguarderà il debito tedesco, ma il prezzo del mancato impulso industriale si ripercuoterà su tutta l’Europa.

Fonte: Il Sole 24 Ore