Politiche di coesione al bivio tra centralizzazione e approccio dal basso
Con la sentenza n. 175 del 2024 la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania sul Fondo sviluppo e coesione (Fsc), che ha segnato una delle tappe dello scontro tra Governo e Regione su questi temi. La Regione aveva impugnato alcune disposizioni del c.d. “decreto Sud” (il decreto-legge n. 124 del 2023) lamentando la lesione delle competenze regionali. Il Fsc è un fondo nazionale finanziato con risorse ordinarie che ha come scopo la rimozione degli squilibri economici e sociali in Italia. Il decreto Sud ha inciso sulla sua governance, attribuendo al potere centrale maggiori poteri di indirizzo e di controllo e restringendo di fatto i margini di azione delle regioni. Da qui le doglianze delle Regioni e, in particolare, il ricorso della Campania.
La decisione della Consulta sul ricorso della Campania
La Corte ha accolto una delle richieste della Regione Campania, dichiarando incostituzionale una delle disposizioni impugnate nella parte in cui non prevede il coinvolgimento dell’amministrazione regionale, mentre le altre questioni sono state dichiarate manifestamente inammissibili e infondate, dando quindi ragione allo Stato. Nel dirimere i dubbi prospettati dalla Regione, la Corte richiama la sua precedente giurisprudenza in materia e ribadisce che la disciplina delle politiche di coesione e del riparto del Fsc rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117 e 119 della Costituzione). Per tali ragioni: «spetta al legislatore statale la scelta dello schema procedimentale ritenuto più adeguato a assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi di volta in volta perseguiti nello stanziare i relativi fondi» (sentenza n. 175 del 2024). Se l’assetto organizzativo del Fsc è di competenza statale, questo implica che il Governo centrale può decidere di devolvere alle Regioni la programmazione e implementazione del Fondo in un’ottica di politiche cosiddette place-based o dal basso, ma può altresì decidere di riaccentrare, in parte o in toto, la gestione dello stesso in un’ottica di riaccentramento delle politiche pubbliche per lo sviluppo dei territori.
Dibattito incandescente
La sentenza della Corte giunge in un momento particolare, in cui il dibattito sul riaccentramento delle politiche di sviluppo, inclusa la politica di coesione europea, è divenuto incandescente, sia in Italia, sia in sede europea. Sebbene il Fsc non rientri tra i fondi strutturali della politica di coesione, infatti, vi sono molti elementi che accomunano i due strumenti: la tempistica di programmazione è la medesima, ossia una programmazione settennale; anche gli obiettivi generali sono ampiamente sovrapponibili, essendo riconducibili alla riduzione dei divari di sviluppo tra i territori e alla rimozione degli squilibri economici e sociali; infine, anche il Fsc destina la maggior parte delle risorse alle regioni del Mezzogiorno. Il Governo in carica, e in particolare l’ormai ex ministro responsabile delle politiche di coesione, Raffaele Fitto, che dal 1° dicembre sarà responsabile per la politica di coesione europea nella nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, ha portato avanti un programma di riaccentramento di molti strumenti di politica di sviluppo locale e politica industriale, che si articola in vari interventi, tra cui il decreto Sud del 2023, oggetto della sentenza della Corte costituzionale. Come ricordato recentemente nel Rapporto Draghi, l’Europa si trova, per ragioni di interesse strategico, a metter in campo cospicui investimenti senza poter generare nuovo debito europeo (come nel caso del Next Generation Eu che ha finanziato i Piani di ripresa e resilienza nazionali). In questo contesto, la politica di coesione rappresenta un prezioso tesoretto poiché da decenni gode di uno stanziamento stabile nel bilancio europeo, sebbene nella prossima programmazione non sia da escludere la possibilità di importanti decurtazioni (si veda, ad esempio, il dibattito sulle spese militari).
I prossimi mesi saranno cruciali
Un riaccentramento nelle mani dei governi centrali di tale politica consentirebbe di reindirizzare, sebbene in una certa misura, i fondi verso settori strategici più coerenti con le strategie nazionali di politica industriale. La sentenza della Corte costituzionale non modifica la strada tracciata in Italia verso un marcato riaccentramento delle politiche pubbliche di sviluppo. I prossimi mesi, e le scelte della nuova Commissione europea, saranno cruciali per capire se anche la politica di coesione europea subirà un processo di trasformazione verso il modello di governance Pnrr, sostanzialmente centralizzato e gestito dai governi centrali, oppure se resisterà il modello partecipativo dal basso che l’ha caratterizzata sinora, e che costituisce un elemento cardine della governance multilivello europea in cui le amministrazioni regionali giocano un ruolo di primo piano.
*Cnr-Issirfa
Fonte: Il Sole 24 Ore