Pressione fiscale su al 42,6%: il Governo ha aumentato le tasse?

Pressione fiscale su al 42,6%: il Governo ha aumentato le tasse?

Dopo due anni cadenzati dalla riforma dell’Irpef e dai tagli al cuneo contributivo, l’Istat ha certificato che nel 2024 la pressione fiscale è salita al 42,6%, con un balzo di 1,2 punti rispetto all’anno prima che l’ha portata ai livelli più alti dell’era post Covid. Il Governo ha aumentato le tasse? Calma.

Il pregio principale dei numeri è nella loro capacità di smontare la propaganda. E le cifre fornite lunedì dall’Istat agiscono in questo senso a tutto campo. Basta guardarle con qualche attenzione per far cadere molte narrative: quelle che magnificano gli effetti dei «tagli delle tasse» degli ultimi anni, ma anche quelle che il Governo di aver fatto quadrare i conti «aumentando le imposte», come hanno detto ieri in coro le opposizioni non potendo conti pubblici che mostrano una riduzione di deficit molto più pronunciata del previsto. In sostanza, la fotografia scattata dall’Istat sul terreno fiscale può essere riassunta così: gli interventi sull’Irpef, limitati, sono stati assorbiti dagli aumenti nominali dei redditi, il taglio del cuneo ha difeso i guadagni reali dei dipendenti con le buste paga più leggere mentre il cosiddetto «ceto medio» si è dovuto caricare l’aumento di tasse generato dall’inflazione. Ma, prima di tutto, a far crescere le entrate è stata in particolare la corsa dell’occupazione, che ha viaggiato a ritmi decisamente più alti rispetto alla crescita economica.

Il Governo ha aumentato le tasse?

No. In questi anni non ci sono stati aumenti di aliquote, e nemmeno allargamenti negli spazi fiscali degli enti territoriali. Le tasse, quindi, non sono aumentate. Nel 2024, però, come appena certificato dall’Istat le entrate delle amministrazioni pubbliche hanno superato per la prima volta nella storia i mille miliardi di euro, arrivando a quota 1.032,8 miliardi con un aumento di 37.19 miliardi (+3,73%). Come mai?

La spinta dell’occupazione

È sempre l’Istat a fornire la risposta. Nel 2024 le “unità di lavoro”, cioè il numero di posizioni lavorative a tempo pieno, sono aumentate del 2,2%, cioè il triplo abbondante rispetto alla crescita del prodotto interno lordo. L’incremento di occupati è stato particolarmente intenso nelle costruzioni (+2,6%), a ulteriore riprova che la chiusura del Superbonus non ha avuto praticamente alcun effetto sull’economia reale che infatti nel 2024 ha registrato lo stesso tasso di crescita (+0,7%) dell’anno prima, quando la spesa del 110% aveva raggiunto il picco intorno a quota 80 miliardi di euro. Gli occupati crescono anche nei servizi (+2,5%) e, più moderatamente, nell’industria e nell’agricoltura (entrambe segnano un +0,7%). Più occupati significa più buste paga, quindi più imposte e contributi. Tanto è vero che nel 2024, nonostante il taglio al cuneo sia stato approfondito, le entrate contributive crescono di 11,3 miliardi (+4,3%) rispetto all’anno prima.

E il fiscal drag?

Anche il fiscal drag ha avuto un ruolo. Il termine, in sintesi, indica l’incremento fiscale generato dall’aumento nominale dei redditi, ed è figlio diretto dell’inflazione. La corsa dei prezzi aumenta infatti la spinta a chiedere aumenti di retribuzione, che allargano la quota di redditi colpite dalle aliquote più alte, perché la progressione degli scaglioni è “congelata” dalla legge (in Italia) e quindi non tiene conto del valore reale dei guadagni. Dai dati Istat, però, si può calcolare che l’aumento dell’occupazione non abbia meno del fiscal drag nel far crescere le entrate fiscali. Le retribuzioni lorde pro capite sono aumentate del 2,9% (+4% nelle costruzioni, +3,5% nell’industria), mentre i redditi complessivi da lavoro sono cresciuti del 5,2%. Perché è aumentato il numero dei lavoratori.

Fonte: Il Sole 24 Ore