Processi telematici, 7 piattaforme: è la babele della giustizia online

Processi telematici, 7 piattaforme: è la babele della giustizia online

Sette processi telematici, ognuno con regole e sistemi diversi. Una babele che gli avvocati chiedono di superare, realizzando una piattaforma unica. Negli ultimi anni hanno dovuto infatti familiarizzare con le differenti modalità tecniche create per depositare gli atti di fronte ai vari organi giurisdizionali: software «imbustatori», set di moduli Pdf da inviare via Pec, portali su cui caricare gli atti e i documenti. Il tema si è affacciato anche in Parlamento: il parere con cui il 23 marzo la commissione Giustizia della Camera ha approvato (con osservazioni) la proposta del Piano nazionale di ripresa e resilienza, suggerisce infatti di usare le risorse del Recovery fund proprio per prevedere un’unica piattaforma di gestione dei processi telematici. Sfruttare la leva finanziaria del Recovery è intenzione anche del ministero della Giustizia, che prevede però tempi lunghi mentre gli avvocati chiedono di accelerare. Ma i problemi, oltre che dalla moltiplicazione dei sistemi, derivano dal loro funzionamento zoppicante.

Perché tanti processi telematici

Le differenze tra i processi digitali sono figlie, in parte, del debutto in tempi diversi ma anche del fatto che fanno capo ad amministrazioni differenti. Lo scaglionamento temporale ha determinato l’utilizzo di tecnologie anche molto diverse l’una dall’altra: il più datato, il processo civile telematico, sperimentato dal ministero della Giustizia fin dal 2006 e divenuto obbligatorio dal 2014, si basa su un meccanismo complesso pensato, all’epoca, per creare un “canale sicuro” per il deposito degli atti. I processi più recenti (il penale, il tributario e quello sportivo, appena partito) funzionano, invece, con una tecnologia più avanzata, tramite caricamento (upload) degli atti e dei documenti sui rispettivi portali. Poi ci sono il processo amministrativo telematico, basato su moduli Pdf da inviare via Pec, e il rito di fronte alla Corte dei conti.

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Le prospettive e i tempi

Il ministero della Giustizia, pur ribadendo, come spiegano dalla direzione generale dei servizi informativi automatizzati, che «la differenza di strutture tecnologiche non è un pregiudizio per gli utenti» poiché possono utilizzare «software che unificano le modalità di gestione», punta a «interventi strutturali che nei prossimi anni agevoleranno l’omogeneizzazione dei sistemi e la loro integrazione nel grande Hub della pubblica amministrazione». Inoltre, intende estendere ai processi telematici che gestisce direttamente – il civile in tribunale e corte d’appello, il penale nelle procure e quello civile e tributario in Cassazione, partito il 31 marzo – l’architettura scelta per il deposito degli atti penali, basata sull’upload senza la mediazione del gestore della Pec. «Uniformare i sistemi sarebbe importante – dice Giovanna Ollà, consigliere nazionale del Cnf – prendendo a parametro quello che funziona meglio, ma deve avvenire con sistemi funzionanti e prevedere una fase sperimentale. E va esteso il processo telematico al giudice di pace».

L’upload è la soluzione promossa anche da Aiga, che pensa «a una piattaforma comune a tutti i riti telematici, con regole e specifiche tecniche uniformi e la possibilità di evitare la firma digitale degli atti, grazie all’autenticazione forte, ad esempio con Spid», spiega il presidente, Antonio De Angelis. Aiga presenterà a breve una bozza di proposta di legge delega con le norme base per la piattaforma unica di processo telematico.

Intorno all’obiettivo della piattaforma unica per i processi digitali si è anche radunato un gruppo spontaneo di avvocati, sollecitati dallo sfogo social di Giovanni Mameli, che ha denunciato i costi e le inefficienze della moltiplicazione dei sistemi: «Nel concepire i processi telematici – spiega – siamo rimasti schiavi delle complicazioni cartacee e questo sta generando altro contenzioso. In Estonia, invece, funziona un sistema unico che gestisce tutti i processi».

Fonte: Il Sole 24 Ore