Pronto soccorso, ospedali e medici di famiglia: in Italia mancano 20mila camici bianchi
Gli ultimi Sos sono arrivati dal San Camillo di Roma e dal Cardarelli di Napoli dove regna il caos per mancanza di medici. Da anni è in atto una fuga dal pronto soccorso degli ospedali che si è acuita con il Covid e ora si fa sentire di più per il ritorno in massa dei pazienti dopo due anni di cure con il contagocce: qui mancano almeno 4500 medici. Ma l’allarme carenza riguarda più in generale gli ospedali dove ci sono 10mila posti vacanti: impossibile dimenticare la caccia agli anestesisti e ai pneumologi nei mesi più duri della pandemia. Con l’emorragia che tocca anche gli studi dei medici di famiglia: mancano circa 4mila camici bianchi con milioni di italiani che rischiano di restare senza o si trovano costretti a iscriversi da medici già in “over booking”.
L’allarme nei pronto soccorso
La situazione al momento più evidente riguarda i pronto soccorso dove dopo due anni sotto stress per Covid ora c’è da gestire la lunga ondata dei pazienti che hanno rinviato le cure proprio a causa della pandemia: «Qui mancano 4.500 medici. A questo si aggiunge un circolo vizioso legato ai turni massacranti di chi oggi lavora in prima linea, spesso con tutti i weekend lavorativi e difficoltà anche a fare le ferie», spiega Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri. Non solo: secondo le stime di Mario Balzenelli, presidente della Sis 118,«i medici a bordo ambulanza sono diminuiti di oltre il 50% negli ultimi 10 anni»: sono scappati da un lavoro «usurante e mal pagato». Nell’ultima manovra sono stati stanziati 90 milioni per pagare una indennità accessoria di chi lavora nei pronto soccorso. Ma potrebbe non bastare. Anche perché come denuncia il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore, «sempre più concorsi banditi dalle aziende sanitarie e ospedaliere non riescono ad essere attrattivi e vanno deserti, e sempre più professionisti lasciano il pubblico per lavorare nel privato, occorre una legislazione di emergenza, sul modello di quella che ci ha permesso di superare la pandemia, che consenta di assumere nei pronto soccorso sia gli specialisti di altre discipline, sia i laureati in Medicina e Chirurgia e abilitati alla professione medica pur se privi di specializzazione».
La carenza cronica negli ospedali
Come dimenticarsi la caccia ai medici specialisti nei mesi più duri della pandemia? Allora si corse ai ripari con i pensionati o i giovani specializzandi. Ma il problema resta tutto: la carenza è di almeno 10mila medici, ma secondo Carlo Palermo «il dato è destinato a peggiorare perché le uscite dal Servizio sanitario, tra pensionamenti e licenziamenti, sono valutabili in circa 7mila ogni anno. I neo specialisti che vengono formati sono attualmente circa 6000 ogni anno, di cui solo circa la metà/due terzi accetta un lavoro nel Ssn. Quindi escono in 7mila, la capacità di sostituzione è limita a 3000-4000 ogni anno. La voragine – spiega Palermo – ogni anno si allarga dunque di 3000-4000 senza contare l’incremento di personale necessario per coprire i posti letto di intensiva e subintensiva attivati durante la pandemia». Che fare? «La prima cosa è assumere tutto il precariato che si è sviluppato nel settore durante la pandemia e quindi andare oltre i limiti imposti alla spesa sul personale. Ma – conclude il segretario di Anaao – si deve fare ancora di più: allargare le assunzioni nel Ssn a medici specializzandi a partire dal terzo anno. È l’unica arma che abbiamo».
Le ragioni della carenza di camici bianchi
.Due le cause principali della carenza di medici: il primo è il tetto di spesa per le assunzioni in vigore da oltre 15 anni e che prevede che le Regioni non possono spendere più di quanto hanno fatto nel 2004 togliendo poi l’1,4 per cento. Un grosso tappo che è stato tolto momentaneamente durante la pandemia con assunzioni straordinarie (oltre 30mila, molte a tempo determinato) che però sono state quasi tutte precarie. La seconda causa è stata l’assenza di programmazione del sistema formativo che di fatto ha causato un imbuto formativo per cui per molti laureati in medicina non c’erano sufficienti borse per specializzarsi e quindi si sono formati troppo pochi giovani medici. Solo negli ultimi anni c’è stata una inversione di tendenza e si è passati dalle 6-7mila borse l’anno alle 13.400 del 2020 e alle oltre 18mila del 2021. In futuro il Pnrr prevede in media 12mila borse l’anno per i laureati in Medicina. Ma per farli lavorare bisogna aspettare che si specializzino e quindi 4-5 anni dall’inizio del corso. «Ci sarà ancora qualche anno non semplice da gestire – ha spiegato il ministro della Salute Roberto Speranza – ma oggi la lezione del Covid è stata nettissima: dobbiamo invertire la stagione dei tagli, come stiamo facendo, e dobbiamo aprire una nuova grande stagione di investimenti sulla sanità nel suo complesso e, in modo particolare, sul personale sanitario. Abbiamo già iniziato a farlo e lo dicono i numeri».
Sempre più italiani senza il medico di famiglia
Ma il nodo della carenza dei camici bianchi riguarda anche la categoria più vicina agli italiani: quella dei medici di famiglia. Qui si contano 3-4mila sedi vacanti su una categoria che ne conta circa 40mila. Le carenze tra l’altro non sono solo in zone rurali ma anche in grandi città come Milano e Firenze. Almeno 1,5 milioni di italiani sono senza il proprio medico di fiducia. Alcuni sono costretti ad appoggiarsi a studi che hanno già il pieno di assistiti (il massimo è 1500). E l’allarme carenza per i medici di famiglia potrebbe essere solo all’inizio. Dopo aver perso 3mila medici di famiglia tra il 2013 e il 2019 ora è anche partita la corsa ai pensionamenti: se ne prevedono 35.200 entro il 2027 . Probabilmente non ce ne saranno abbastanza per sostituirli anche se un primo vero segnale di controtendenza arriva dal Pnrr: nel Piano nazionale di ripresa e resilienza si stanziano infatti le risorse per aggiungere 900 borse in più per formarsi in medicina generale per i prossimi tre anni.
Fonte: Il Sole 24 Ore