Qualità della vita: perché amare e odiare Reggio Calabria
Questo è un articolo di parte. Meglio dirlo subito. L’autore è nato a Reggio Calabria e in provincia, a Rizziconi, nella Piana di Gioia Tauro, ha vissuto fino a 22 anni. Abita a Milano dal 1992, ma lì, in quei luoghi, torna tre-quattro volte l’anno. Lì ho gli amici e gli affetti.
Amare Reggio Calabria e il suo territorio è inevitabile. Solo chi non li conosce, la gran parte dei pochi che leggeranno questo articolo, può non amarli. Entrare al Museo Nazionale, contemplare per dieci minuti i Bronzi di Riace, il tempo di sosta consentito per tenere in sicurezza le due statue, visitare con calma le altre stanze che raccontano gli insediamenti e la civiltà della Magna Grecia. Uscire, prendere una brioche appena sfornata piena di gelato al chiosco di Cesare e gustarsela sul lungomare, è un piacere come pochi altri ci sono concessi. Davanti la Sicilia, Messina, gli sbuffi dell’Etna, innevato in inverno. Per piaceri analoghi si va in capo al mondo, ma a Reggio vengono in pochi. Il turismo è un’ipotesi, nonostante l’accoglienza innata dei calabresi.
Il giro della provincia, risalendo verso la costa jonica è un susseguirsi di gioielli incredibili e sconosciuti: il borgo abbandonato di Pentadattilo, nascosto intorno alle cinque dita di roccia. L’area grecanica, dove si parla ancora il greco antico, quello dei poeti lirici, con i mosaici della sinagoga di Bova e le tartarughe caretta caretta che depongono le uova a Brancaleone, il confino di Cesare Pavese. La villa romana di Casignana, niente da invidiare a Piazza Armerina. Gli scavi di Locri Epizefiri, la città fondata dagli Spartani che dominò la Magna Grecia. Il borgo di Gerace, gioiello dalle infinite chiese che vanno dall’età paleocristiana al barocco, con il Duomo dalle colonne prese dai templi di Locri. La bizantina Stilo con la misteriosa Cattolica, tempio esagonale ed esoterico. E poi scendendo sul Tirreno, le terrazze sullo Stretto di Palmi e lo scoglio dell’Ulivo, il gioiello Scilla con il castello che domina lo Stretto. Le spiagge sabbiose dello Jonio e rocciose del Tirreno, la Costa Viola con il mare denso, la montagna a strapiombo e le correnti ingannatrici, le Sirene di Ulisse. “Le solitarie calanche chiuse da strapiombi di rocce che prendon colore dell’alga nata dallo spruzzo dell’onda” (Ti amo Calabria, Leonida Repaci).
Ti odio Reggio Calabria. Solo chi ti ha lasciato, molti dei pochi che leggeranno questo articolo, possono capirlo fino in fondo. Reggio Calabria “u paisi i mi ncrisciu, mi ndi futtu e ogni cosa esti fisseria” (il paese di mi annoio, me ne infischio e tutto è senza importanza, Nicola Giunta poeta reggino di inizio Novecento). Poco è cambiato da allora. Basta leggere la classifica che mette Reggio all’ultimo posto della qualità della vita. Ultima in servizi e ambiente; posizione 103 in affari e lavoro; 96 in demografia e società; 96 anche in cultura e tempo libero. Le strade sono eternamente dissestate e piene di buche, gli ospedali – Locri, Polistena – salvati dai medici cubani e i reggini vanno a curarsi al Nord, i servizi pubblici approssimativi, i trasporti inesistenti. O hai la macchina o sei morto. La città e la provincia delle contraddizioni. Non c’è lavoro, dicono tutti (e anche i dati Istat), ma sul lungomare di Reggio, in estate, i ristoranti e i bar sono pieni di cartelli “Cercasi cameriere”. Il gommista del paese di chi scrive brama un apprendista da due anni, il cartello è sempre lì (le strade dissestate fanno forare spesso). I giovani scappano a gambe levate, posizione in classifica 104. I ragazzi frequentano l’Università al Nord e non tornano. I vecchi sono 318 ogni 100 giovani (la media dell’Italia è 136). L’ascensore sociale non è mai partito, il merito sconosciuto (“Chistu è u paisi aundi si perdi tuttu, aundi i fissa sunnu megghiu i tia”, questo è il paese dove si perde tutto e i fessi sono migliori di te. Sempre l’attualissimo Giunta). Giustizia e sicurezza sono al posto 82 della classifica, ma chi conosce e frequenta quei luoghi sente la cappa perenne della ’ndrangheta, molto più presente di quello che appare, con la gente che ancora abbassa la voce quando qualcuno, magari venuto dal Nord, incautamente ne parla.
Ogni tot di anni c’è un moto di speranza. Il quinto centro siderurgico a Gioia Tauro negli anni Settanta. Il decreto Reggio con il centro direzionale e la scuola sottufficiali dei carabinieri negli anni Ottanta; la primavera di Reggio con il sindaco Italo Falcomatà, padre dell’attuale primo cittadino, Giuseppe, negli anni Novanta. Ora il Pnrr che dovrà costruire gli asili, dotare di mezzi pubblici l’azienda dei trasporti, riqualificare i quartieri. Nella città in cui tutto è eterno. Il Museo del Mare di Zaha Hadid, progettato nel 2009, ha appena avuto un piano esecutivo. Zaha Hadid è passata a miglior vita. Magari il suo museo sarà costruito in un tempo minore rispetto ai 44 anni della Pellaro-Gambarie, la strada che collegherà il mare all’Aspromonte. In attesa del prossimo moto di speranza.
Fonte: Il Sole 24 Ore