Quando fa bene mettere in discussione il proprio successo
Occupandomi di formazione manageriale e coaching sono alle prese tutti i giorni con la disponibilità delle persone a mettersi in discussione per migliorare.
Per un adulto è molto complicato dedicarsi al perfezionamento professionale attraverso la formazione o il coaching, soprattutto quando ha alle spalle anni di esperienza e soddisfazioni conclamate: «Lo faccio da anni, lo faccio con successo, perché mai dovrei tornare sui banchi di scuola per cambiare questo o quell’aspetto del mio modo di lavorare?».
Il bisogno di formazione non nasce da un deficit
È un meccanismo di difesa comprensibilissimo, che si fonda sull’assunto (sbagliato) che il bisogno di formazione nasca da un deficit personale, come se lo studio o l’allenamento fossero essenzialmente il rimedio per qualcosa che non va. A ciò si aggiunge che formazione per un adulto significa anche proposta di cambiamenti e dunque minaccia ad abitudini e pigrizie consolidate. Insomma dentro ciascuno di noi c’è un diavoletto pronto a sabotare le opportunità di perfezionamento lavorativo: «Non voglio che mi si dica che sto lavorando male e non voglio cambiare abitudini, anche se intuisco che le mie attuali non sono produttive. Tanto comunque alla fine i risultati li porto a casa».
Questo atteggiamento presuppone che il nostro successo lavorativo sia una scatola nera non analizzabile, sia un monolite non scomponibile in una molteplicità di componenti: siccome ho una pasticceria di successo da trent’anni nessun collega o consulente mi può insegnare il mestiere. Qualche consiglio, qualche spunto di riflessione lo accetto volentieri, ma non mi chiedete di “fare i compiti” perché io comunque resto un maestro, non posso essere un allievo.
Individuare i fattori di successo
Si tratta di un approccio molto diffuso che nasce dall’incapacità di distinguere i tanti possibili fattori di successo nel nostro lavoro. Perché ho una pasticceria di successo? Per la location? Per il livello di servizio? Per la qualità del prodotto? Per la gamma di prodotti? Per l’abilità amministrativa? Per quella gestionale? “Un po’ per tutto” è la risposta che sento più frequentemente. Risposta molto superficiale (e pericolosa) ma anche comprensibile perché quasi mai abbiamo gli elementi che ci consentano di capire qual è il fattore specifico che ci conduce al successo. Non riuscendo a identificarlo istintivamente pensiamo: “un po’ per tutto”.
Fonte: Il Sole 24 Ore