Quando sparwasser segnò il gol degli altri
Le vite degli altri, quelli che la Stasi pedinava come pericolosi sovversivi per perpetrare il potere della Ddr, scesero in campo ad Amburgo, al Volksparkstadion. Era il 22 giugno 1974, Mondiali di calcio in Germania. Di fronte, si trovano, per l’unica volta nella storia, le due Germanie. Est e Ovest, socialismo e democrazia, capitalismo e comunismo, libertà e dittatura.
Non avevano nulla da chiedere al campo le due Nazionali, erano già qualificate alla fase successiva. E forse, proprio questa leggerezza, rende possibile l’impensabile. La Germania Est, trascurata dai pronostici, vince 1-0 e Jürgen Sparwasser, l’autore del gol, diviene un eroe, tanto che perfino Günter Grass, Nobel per la letteratura, ha raccontato l’episodio: «Sparwasser accalappiò il pallone con la testa, se lo portò sui piedi, corse di fronte al tenace Vogts e, lasciandosi dietro perfino Höttges, lo piantò in rete alle spalle di Maier». Sparwasser, con la sua maglia azzurra numero 14 incorniciata dalla falce e dal martello sul cuore, diviene uno strumento del potere politico, come oggi i Paesi arabi usano lo sport per sciacquarsi la coscienza dei diritti calpestati e affermarsi sullo scenario mondiale. Mica cambia la storia. E proprio perché non cambia Giovanni Tosco, giornalista di «Tuttosport», ha deciso di raccontare per la prima volta in Italia il gol del 1974 e la storia di quel centrocampista offensivo della Ddr, che agli occhi occidentali è uno spilungone incredulo con le braccia al cielo per un’impresa da almanacchi.
Nato nel 1948 nella ex Ddr, Jürgen riceve in dono per i suoi 7 anni un pallone. È amore, consuetudine con gli amici. Pomeriggi infiniti in cortile a ridere, correre e divertirsi: «Mi sentivo libero – ha confessato di recente nella sua tournée in Italia per presentare il libro –, mica sapevo di vivere in una dittatura. La mia infanzia è stata come quella di tanti, giocare, scherzare, assaporare vita». E il calcio diviene la sua vita. Dal Magdeburgo, la squadra della sua città, alla Nazionale con quel gol storico e il destino che cambia d’improvviso. Per il regime Sparwasser è un eroe, per tanti amici e migliaia di cittadini, che ormai avevano annusato l’affievolirsi delle libertà, è un tradimento. Sparwasser, con quella rete, aveva reso grande il Partito socialista unificato: «Fu subito chiaro che avevo compiuto un’impresa». Come pure era successo l’8 maggio 1974: a Rotterdam, quel giorno, il Magdeburgo di Sparwasser, che aveva una rosa di giocatori nati nel giro di 40 chilometri dalla città, sconfigge per 2-0 il Milan di Giovanni Trapattoni, vincendo la Coppa delle Coppe, l’unico trofeo internazionale di una squadra della Germania dell’Est.
In due mesi, dal grigiore – e dalle paure – del Muro di Berlino alle copertine dei giornali. Come pure quando, dopo una gara di Coppa Uefa contro la Juventus nel marzo 1977, scambia la sua maglia con quella di Tardelli: mica era concesso farlo con giocatori che vivevano nel capitalismo. Ma Sparwasser sa fino a dove spingersi, sa che in squadra qualche spia ascolta tutto. Lui gioca, cerca di divertirsi come quand’era bambino: in 14 anni, colleziona 381 partite e 173 gol. Si ritira per un infortunio reinventandosi come docente di teoria e pratica dei giochi sportivi a Magdeburgo e, quando il partito gli chiede di allenare la sua vecchia squadra, rifiuta. Assecondare il regime significherebbe tradire il proprio cuore. Per la prima volta, dice no e resta isolato: è il momento in cui divieti e pressioni della Stasi che, con i suoi 200mila informatori, tutto e tutti controlla, lo portano a immaginare la fuga. Fuga per la vita, per ricominciare da qualche parte. È il 1988 e l’oppressione è diventata soffocamento cieco e violento. Mica si può vivere così e con Christa, che conosce da quando avevano 14 anni e raccoglievano ribes in campagna, pianifica la fuga verso Hannover e un portafoglio è la sua chiave a stella per la libertà. Paura, terrore per la figlia Silke incinta e rimasta all’Est. Per lei decine di interrogatori e perquisizioni della casa ma nessuna violenza, forse perché Sparwasser mai si era esposto in modo netto contro il regime, una volta arrivato nell’Ovest. Ha lasciato quasi tutto a casa per non destare troppi sospetti, tranne la maglia di Tardelli e poco altro. Anche la sua maglia numero 14, quella della partita contro la Germania Ovest.
In occasione di una drammatica alluvione che colpì Lipsia nel 2002, viene organizzata un’asta con cimeli sportivi e Sparwasser offre la sua casacca, acquistata per 13mila euro e poi donata al Museo di Storia tedesca di Bonn. La storia non passa mai e anche un gol fa la differenza fra memoria e oblio.
Fonte: Il Sole 24 Ore