Quei tre milioni di fragili e dimenticati

I dati sull’occupazione ci regalano notizie molto positive: non solo per il superamento della soglia dei 24 milioni di occupati, ma anche per la crescita di tutti gli indicatori più significativi (il tasso di occupazione, il numero di donne che lavorano, il numero di contratti a tempo indeterminato). L’ottimismo indotto da questi numeri è, quindi, del tutto legittimo, ma non deve far passare in secondo piano un problema che esiste anche dentro un quadro così positivo: c’è una parte importante del sistema produttivo intrappolata dentro condizioni di lavoro poco rispettose delle regole.

Non è facile quantificare il numero delle persone che versano in questa situazione: possiamo ipotizzare, incrociando i vari dati disponibili, che circa tre milioni di persone lavorino sulla base di contratti “poveri” o irregolari. Non parliamo, sia ben chiaro, dei lavoratori a tempo determinato e di quelli impiegati dalle Agenzie per il lavoro con contratti di somministrazione: queste persone, pur dovendo scontare l’incertezza legata alla scadenza del contratto, fruiscono di tutte le tutele legali e contrattuali.

Parliamo di quel variegato mondo fatto da situazioni diverse tra loro – i part time simulati, le false partite Iva, le collaborazioni coordinate e continuative irregolari, le catene di appalti illeciti, fino al vero e proprio lavoro nero – che hanno come elemento comune la violazione di quel “minimo costituzionale” di regole poste a presidio della dignità del lavoro: un orario di lavoro regolare, l’applicazione di un contratto collettivo firmato da associazioni sindacali e datoriali realmente rappresentative, una disciplina previdenziale corretta, le tutele contro i licenziamenti ingiustificati.

Un fenomeno che interessa tutti i settori economici e tutte le fasce d’età, anche se ha come vittime privilegiate i giovani e le donne, accomunati dal destino di essere i protagonisti principali dello sfruttamento del lavoro.

Problemi che sono accentuati dallo sviluppo imperioso dell’economia digitale; le grandi – e ormai irrinunciabili – opportunità che ci offrono le piattaforme e la sharing economy sono possibili grazie al lavoro di persone che ancora non hanno trovato la giusta e definitiva sistemazione contrattuale, anche per via dell’innegabile difficoltà di far convivere un sistema di regole nato nel secolo scorso con metodi e forme di lavoro completamente nuove.

Fonte: Il Sole 24 Ore