Quel Cinquecento elegante ed esoterico
Tra le scuole pittoriche ancora sottostimate, sulle quali si stanno accendendo i riflettori della critica, c’è senz’altro quella fiorita a Ferrara nel XVI secolo, capitanata da autori che sono al centro di una grande mostra allestita a Ferrara. L’esposizione racconta le vicende della pittura ferrarese del primo Cinquecento, elegante ed esoterica, concepita in un dialogo serrato tra pittori e intellettuali di corte negli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso (1505) fino alla morte di quest’ultimo (1534), committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte e quelli pubblici della città.
La scomparsa della generazione di pittori del calibro di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti – che aveva dominato il secolo precedente – lascia Ferrara alle prese con la difficile sfida di un ricambio artistico di alto livello. Nel 1496 la scelta del duca Ercole I di ingaggiare Boccaccio Boccaccino (figlio del ricamatore di corte, Antonio de Bochacis) indica l’apertura a linguaggi pittorici più moderni e aggraziati. All’inizio del nuovo secolo, si sviluppa una nuova scuola, meno isolata e autoreferenziale, che ha come protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovan Battista Benvenuti detto Ortolano, Benvenuto Tisi detto Garofalo e soprattutto Giovanni Luteri detto Dosso, artisti aperti agli scambi con gli altri centri del Rinascimento italiano, da Modena a Bologna, da Venezia a Roma.
Garofalo e Dosso sono già noti ai collezionisti; il loro percorso è stato approfondito in modo organico in varie occasioni scientifiche, mentre gli scambi in asta indicano mercati differenti. Garofalo registra aggiudicazioni di fascia alta sui 200mila euro, Dosso, invece, negli ultimi trentacinque anni rileva scambi molto rarefatti, ma le sue aggiudicazioni toccano cifre a sei zeri, con un significativo incremento di mille volte tanto a partire dal 2013. Il top price d’asta, messo a segno nel gennaio 2021 da Sotheby’s New York, è di oltre 4 milioni di euro per due tele di soggetto storico commissionate da Alfonso I d’Este per il suo camerino di alabastro nel castello di Ferrara.
Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso è padrone del campo delle imprese ducali, in cui affronta temi allegorici e mitologici, desunti spesso dai poemi epici del contemporaneo Ludovico Ariosto. Per Mazzolino e Ortolano, invece, si tratta di un debutto assoluto. Sono autori molto rari sul mercato e le loro opere di grande qualità quotano mediamente sui 100mila euro. Approfondendo, Ludovico Mazzolino (c. 1480-1528) orienta il suo linguaggio in senso anticlassico, guardando alla pittura dai contorni legnosi di Ercole de’ Roberti e alle incisioni tedesche, da Martin Schongauer ad Albrecht Dürer. Conosce Boccaccino e la pittura veneziana, come anche Raffaello e la cultura antica, ma la sua arte è animata da accenti visionari che lo pongono tra gli “eccentrici” attivi nell’Italia settentrionale. Si specializza in quadri di impeccabile qualità, destinati al collezionismo privato e raffiguranti scene profane, gremite di personaggi dai tratti fisionomici quasi grotteschi, del tutto insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicati da Perugino e dai suoi seguaci. Il suo estro bizzarro spicca ancora di più al confronto con il fare di Benvenuti detto l’Ortolano (c. 1487-post 1527), caratterizzato da un convinto naturalismo.
Dopo l’esordio influenzato dai modi di Boccaccino, Lorenzo Costa e Francesco Francia, l’Ortolano si orienta verso la cultura veneziana di Giorgione soprattutto nella resa del paesaggio. Accanto alle grandi pale d’altare eseguite nel terzo decennio, l’artista produsse numerosi quadri per la devozione privata, d’ispirazione raffaellesca.
Fonte: Il Sole 24 Ore