Questo Verdone è troppo poco forte
Non so se Vita da Carlo (su Prime dal 5 novembre) sia il punto più basso del Verdone recente, ma di certo è un punto molto basso ed è anche un pessimo esordio nella produzione originale per la Prime Video italiana.
In dieci episodi da mezz’ora, Verdone interpreta una versione fittizia di sé stesso, con Max Tortora a fargli da spalla: il primo deve decidere se accettare la candidatura a sindaco di Roma, il secondo ha generici problemi di coppia. Ma in realtà le storie sono esilissime e sconclusionate, una mera scusa per inanellare una fila di sketch in cui, in media, c’è un personaggio-macchietta che fa cose assurdamente sopra le righe, e Verdone che prima abbozza e poi sbrocca. Tra le macchiette troviamo vari ospiti illustri, a volte nel ruolo di sé stessi a volte no: da Roberto d’Agostino ad Alessandro Haber, da Morgan (tra i pochi a lasciare il segno, come sempre) a Venditti: entrano, fanno il loro numero ben illuminati dai riflettori e poi spariscono, come in un vecchio varietà. Poi c’è anche Verdone che prende le gocce, Verdone che fuma pensoso sulla magnifica terrazza della sua magnifica casa, e quando la fotografia cambia tono è Verdone che sogna.
Da una finta autobiografia di questo tipo ci aspettiamo che il protagonista si prenda un po’ in giro, e in qualche rara occasione la cosa funziona: in un episodio, Verdone accetta di fare visita a una donna con una malattia terminale, in teoria un’ammiratrice sfegatata, in pratica una spietata detrattrice dei suoi ultimi film, e finisce per litigarci. La maggior parte delle volte, però, la serie si appoggia senza remore all’ennesima variante di “lo famo strano”: lui sbuffa, ma poi recita per minuti e minuti le battute più famose di Troppo forte e Borotalco, o urla «Marisol!».
La logica del tormentone è pervasiva: i romani che vogliono i selfie, Max Tortora non viene riconosciuto, lo sceneggiatore intellettuale blatera di Tarkovskij, il produttore cafone vuole fare un film intitolato Lo famo anziano. L’impressione generale è che, nell’automatica iterazione dei cliché più triti, ci si affidi totalmente all’estro degli interpreti. Ma nessuno può fare miracoli.
Vita da Carlo
Fonte: Il Sole 24 Ore