“Rapito”, il primo italiano in concorso è un grande film

“Rapito”, il primo italiano in concorso è un grande film

Marco Bellocchio prosegue nel fare grande cinema: dopo il bellissimo documentario “Marx può aspettare” del 2021 e la splendida serie “Esterno notte” dello scorso anno, torna ancora sulla Croisette per presentare il suo nuovo lungometraggio, “Rapito”.
Primo italiano in concorso, il film racconta la vera storia di un bambino ebreo, Edgardo Mortara, che nel 1858, all’età di quasi sette anni, venne prelevato dallo Stato Pontificio e tolto alla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico.

Ai genitori, disperati, venne rivelato che il bambino era stato segretamente battezzato quando era molto piccolo: secondo le rigide regole della legge papale, il sacramento ricevuto dal neonato gli imponeva un’educazione cattolica. Trasferito da Bologna a Roma, Edgardo sarà allevato secondo i precetti cristiani sotto la custodia di Papa Pio IX.Liberamente ispirata a “Il caso Mortara”, libro di Daniele Scalise, la sceneggiatura è stata scritta da Marco Bellocchio e Susanna Nicchiarelli, con la collaborazione di Edoardo Albinati e Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro.

Dal soggetto di base, che parte da un terrificante fatto di cronaca, si sviluppa un copione ricchissimo di quelle tematiche che Bellocchio ha spesso affrontato nel corso della sua lunga carriera: dai complicati rapporti tra genitori e figli, fino a certi eccessi religiosi che rischiano di minare dall’interno quegli stessi rapporti famigliari.

Ritmo potente

Oltre all’importanza storica dell’argomento proposto, colpisce la splendida messinscena di Bellocchio, che ci trascina inesorabilmente in una vicenda inquietante e appassionante fin dalle prime battute. Il ritmo del montaggio è potente, perfettamente calibrato e capace di aumentare spesso la tensione nei momenti cardine di una pellicola di fatto priva di cali dall’inizio alla conclusione.L’eleganza dello stile di Bellocchio non è certo una novità, ma anche questa volta il regista riesce a stupire per l’attenzione a ogni dettaglio e per la notevole direzione generale degli attori: nel cast troviamo, tra gli altri, Barbara Ronchi, Fausto Russo Alesi, Fabrizio Gifuni, Filippo Timi e Paolo Pierobon.Da segnalare che qualche anno fa il caso Mortara aveva destato anche l’interesse di Steven Spielberg, che aveva annunciato la volontà di girare un film sulla sua storia, prendendo spunto da un libro dell’accademico statunitense David Kertzer.

Asteroid City

Attesissimo in concorso era anche “Asteroid City”, nuovo film di Wes Anderson con il suo solito cast all-star: da Jason Schwartzman a Margot Robbie, passando per Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Tom Hanks, sono davvero tanti i volti noti presenti all’interno della pellicola.“Asteroid City” è ambientato in un’immaginaria e remota cittadina americana desertica, dove si svolge un convegno di astronomia, noto come Junior Stargazer. La convention attira diversi studenti con i rispettivi genitori, ma molto presto le storie di questi personaggi finiranno per sovrapporsi in modi del tutto inaspettati.Due anni dopo “The French Dispatch”, Wes Anderson prosegue a dare vita a un cinema sempre più astratto e teorico, utilizzando continui giochi di scatole cinesi sul versante narrativo che rendono le sue pellicole molto complesse e stratificate.Lo stile, simmetrico e ricco di movimenti della cinepresa molto precisi, è sempre lo stesso e, indubbiamente, l’attenzione alla costruzione delle inquadrature è sempre al primo posto nei pensieri del regista americano. Se il film si fa apprezzare per la sua ironia e per la messinscena, meno riuscito è invece il versante drammaturgico, così come la base concettuale dell’operazione, decisamente più annacquata rispetto a quella del suo film precedente.Rimangono l’estetica elegante e una serie di riflessioni non banali sulle paure collettive (la bomba atomica) e individuali (la solitudine) dell’essere umano, ma nel disegno generale qualcosa scricchiola e alla lunga il giochino tra realtà e finzione rischia anche di stancare.

Fonte: Il Sole 24 Ore