Rilanci ex Ilva agli sgoccioli

Rilanci ex Ilva agli sgoccioli

Il primo problema è la finanza di impresa. Il secondo è la prospettiva strategica. A pochi giorni dal termine per la consegna degli ipotetici rilanci, che il governo Meloni ha fissato per venerdì 31 gennaio, intorno all’ex Ilva aumenta la pressione. Di tutti su tutti. Primo tema per i commissari: convincere gli americani di Bedrock Industries a cambiare la forma dell’offerta. Oggi l’offerta del fondo di investimento è formulata secondo i criteri di un private equity, con il capitale che verrebbe via via sostenuto finanziariamente dai futuri (auspicati) guadagni. Una formula incompatibile con una società in amministrazione straordinaria. La parte cash andrebbe comunque rivista, perché oggi – secondo consuetudine da fondo americano – è pari a zero. Secondo tema, per i commissari e per il governo: fare lievitare le offerte che, oggi, hanno un profilo finanziario molto lontano dal miliardo e mezzo di euro che era stato considerato, da tutti, il minimo sindacale per non ritenere fallimentare l’intera operazione. A quanto risulta al Sole 24 Ore, il governo si attende in questi giorni dei ritocchi contenuti, ma non sostanziali, alle prime offerte giunte per la totalità del complesso aziendale. Sia il consorzio azero radunato intorno a Baku Steel come pivot industriale sia Jindal Steel International riconoscono il valore di magazzino oggi in dote all’ex Ilva, che lo scorso luglio nel programma dei commissari straordinari, sulla base delle quotazioni delle materie prima di allora, era stato quantificato in poco meno di mezzo miliardo di euro. E sono disponibili a pagarlo. Il problema è la componente finanziaria ulteriore. Jindal Steel International ha un progetto da due miliardi di investimenti complessivi che – in virtù delle sinergie con le sue strutture nel Medio Oriente e in Africa e in virtù di un’idea industriale basata soprattutto sui forni elettrici – comporterebbe un esborso ulteriore rispetto al valore del magazzino, almeno all’inizio, attorno a 80 milioni di euro. Baku Steel metterebbe sul tavolo altri 450 milioni sfiorando il miliardo, se si somma il magazzino. Ma, anche in questo caso, si sarebbe molto lontani dal miliardo e mezzo. Le offerte al ribasso potrebbero tradursi in una mini Ilva (i sindacati lo hanno capito, i diecimila e ottocento addetti non sono credibili) e in una richiesta strutturale di cassintegrazione e mobilità (il Mef lo ha capito). Ciononostante, dal governo si ribadisce che ci si aspetta il massimo dai privati, perché l’ingresso di un nuovo azionista pubblico, almeno per ora, non è all’ordine del giorno. Tutto questo, peraltro, varrà domani. Ma già l’oggi è segnato da una grande complessità nella finanza di impresa. L’accelerazione per arrivare a offerte più robuste entro il 31 gennaio è stata dettata dall’esigenza di garantire continuità operativa all’azienda in attesa dell’aggiudicazione, come dimostra l’ultima iniezione di liquidità deliberata dal governo per 250 milioni. Tra prestito ponte e risorse girate all’amministrazione straordinaria dal “patrimonio destinato” creato con le somme provenienti dalla confisca dei Riva e originariamente vincolato a finalità di ripristino ambientale, si sfiora il miliardo di euro in un anno.

Fonte: Il Sole 24 Ore