Riparte il nucleare: c’è l’accordo fra Enel, Ansaldo e Leonardo sui minireattori

Riparte il nucleare: c’è l’accordo fra Enel, Ansaldo e Leonardo sui minireattori

Dopo lungo dibattito, il nucleare italiano è pronto a ripartire davvero. A costruire il terreno operativo sarà una newco figlia dell’intesa appena raggiunta fra Enel, Ansaldo Energia e Leonadro, che svilupperà la propria attività nel settore delle nuove tecnologie nucleari puntando prima di tutto sugli Smr (Small Modular Reactor), i cosiddetti “mini reattori” ad acqua di terza generazione; ma in agenda avrà anche la ricerca e il monitoraggio degli Amr (Advanced Modular Reactor) che rappresentano la promessa della quarta generazione dell’atomo. L’accordo fra le tre partecipate del Tesoro, raggiunto sotto la regia del Mef guidato da Giancarlo Giorgetti, prevede la quota del 51% in mano all’Enel, mentre Ansaldo avrà il 39% e Leonardo il 10. E la nuova realtà rappresenterà il braccio operativo di un progetto portato avanti con il ministero dell’Ambiente e quello dell’Impresa e del Made in Italy, e basato anche sulla ricostruzione di una cornice normativa e regolatoria per superare lo stallo creato dal referendum del 1987.

Il mix energetico del futuro

Gli obiettivi del resto sono noti, fissati dal Piano strutturale di bilancio, che ha inserito fra i collegati alla manovra il Ddl nucleare chiamato a far ripartire la produzione italiana dal 2030, e dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), che prospetta dall’atomo un 11% dell’energia elettrica nel 2050 e non trascura proiezioni più ambiziose verso quota 22 per cento. I tempi per far ripartire la produzione e farla pesare nel mix energetico italiano ovviamente non sono brevi: ma l’esperienza recente insegna che la battaglia dell’energia è determinante in modo strutturale sulla competitività italiana, e che farsi trovare impreparati agli shock costa parecchio.

Doppio livello

Da queste ragioni nasce l’esigenza di far viaggiare in contemporanea il lavoro sulle norme e quello sui soggetti chiamati ad attuarle. La Newco nucleare opererà su un doppio terreno. Quello già dissodato ospita gli Smr, i piccoli reattori nucleari che sviluppano una potenza pari a circa un terzo delle centrali classiche di grandi dimensioni, ma rispetto a queste sorelle maggiori offrono parecchi vantaggi sul piano delle difficoltà tecniche e realizzative. Con le loro dimensioni ridotte riducono i costi dei sistemi di sicurezza, senza ridurne le garanzie), e in termini di modularità si adattano meglio alla geografia di una manifattura italiana assetata di energia e in forte difficoltà con le bollette. Non a caso, è a questo tipo di impianti che si è da subito rivolta l’attenzione anche delle imprese di Confindustria. Anche perché i calcoli tecnici indicano che le loro caratteristiche permettono a questi mini reattori di produrre energia a costi concorrenziali con le rinnovabili, ma con impianti più contenuti nelle dimensioni e quindi nell’impatto sull’occupazione di suolo. Non ultimo, in un’Europa imbrigliata dalla sua superfetazione regolamentare, le centrali mini sono più leggere anche negli sforzi di armonizzazione che richiedono nei confronti delle autorizzazioni comunitarie. L’aggancio a una tecnologia “matura” come quella ad acqua leggera permette di aprire subito la strada progettuale per il primo reattore italiano, essenziale anche per rianimare la filiera che ruota intorno all’atomo.

La filiera italiana

E qui arriva il secondo terreno, più prospettico. Perché l’attività di ricerca e formazione di nuove competenze guarderà anche ai prossimi passi nell’evoluzione del nucleare pulito, ma potrà farlo senza partire da zero. Anche perché il referendum di 38 anni fa nato sulla paura di Chernobyl, dove però la disgregazione sovietica aveva pesato più delle incognite di una tecnologia comunque superata, ha congelato il quadro italiano solo in parte. Con la conseguenza paradossale che vede l’Italia priva di infrastrutture e di produzione da decenni, ma ricca di competenze teoriche e industriali che la spingono in prima fila sul piano internazionale: su 277 imprese aderenti all’Alleanza europea sugli Smr, 50 sono italiane. Con i tre big a controllo pubblico in campo e con un’industria nucleare che già oggi è la seconda a livello europeo, l’ambizione è di costruire una sorta di staffetta fra la III generazione già sul tavolo e la quarta da sviluppare, in un lavoro intorno al quale aggreare competenze in grado di ricostruire una filiera nazionale pesante. Superando, nel tempo, uno degli ostacoli principali che oggi azzoppa l’industria italiana nella competizione internazionale.

Fonte: Il Sole 24 Ore