Ristorazione scolastica, 100mila posti di lavoro a rischio

Senza una revisione del Codice Appalti, un ammorbidimento dei Cam (i criteri ambientali minimi introdotti nel 2020) e un innalzamento delle basi d’asta, il settore della ristorazione collettiva rischia il default. Perché i 5 euro di prezzo medio riconosciuti oggi per un pasto completo di alta qualità in una mensa scolastica (con almeno il 50% di prodotti bio, e derrate a km zero, da lotta integrata, filiera corta, equosolidale…) non bastano a coprire i costi. Per non parlare dei problemi concreti nel reperire prodotti conformi a norme e linee di indirizzo, che variano in base alle regioni, alle interpretazioni degli enti appaltanti e tagliano fuori dal mercato i piccoli fornitori agricoli per l’eccessiva complessità di burocrazia e certificazioni.

Sono i temi emersi ieri a Reggio Emilia, in occasione del secondo “Summit della ristorazione collettiva” organizzato da Cirfood nel giorno in cui si celebra tutto il mondo celebra la giornata dell’alimentazione, per portare all’attenzione delle istituzioni e della comunità la necessità di un cambio di rotta per “garantire l’equilibrio tra sostenibilità sociale, ambientale ed economica” (come recita il titolo) di un settore strategico ma sottovalutato nel Paese.

Parla infatti di «insostenibilità economica» Carlo Scarsciotti, presidente di Oricon, l’Osservatorio della ristorazione collettiva e nutrizione che riunisce i cinque principali operatori del settore (Camst, Cirfood, Elior, Pellegrini, Sodexo), ai quali è richiesto un impegno altissimo in termini di sostenibilità ambientale e sociale, a fronte di un servizio di pubblica utilità dove oggi è avvantaggiato l’ente pubblico in autogestione (che può rivedere i prezzi) rispetto all’impresa privata in appalto.

In gioco non c’è solo un’industria nazionale che vale 100mila posti di lavoro (per oltre l’80% femminile) e 4,1 miliardi di euro di fatturato, che mette a tavola ogni giorno 9 milioni di persone (tra cui i soggetti più “fragili”, gli utenti di scuole, ospedali, Rsa) garantendo 750 milioni di pasti (nutrizionalmente completi e sani) l’anno, ma un sistema di welfare e di equità sociale che ha ricadute dirette sulla crescita del Pil italiano: dove c’è la mensa scolastica, e quindi il tempo pieno, si riducono la povertà alimentare e le disuguaglianze sociali tra bambini e si libera lavoro femminile. Eppure, oggi in Italia solo 2 bambini su 5 della scuola primaria hanno accesso al tempo pieno e a un pasto completo – numeri dal report di Save the Children – con disparità enormi tra il Nord e Sud Italia, che si riflettono nella difformità sia del mercato lavoro sia del valore aggiunto tra le regioni lungo lo Stivale.

Così come i Cam, i criteri ambientali minimi introdotti con le migliori intenzioni dal ministero dell’Ambiente, ma in pieno Covid (periodo in cui è crollato del 20% il business con le aziende, a causa dello smart working) hanno imposto paletti talmente rigidi da mettere in difficoltà lo stesso approvvigionamento dei prodotti previsti nei capitolati di gara. Lo sottolinea nelle conclusioni del summit Chiara Nasi, presidente di Cirfood, cooperativa che opera in 18 regioni italiane (oltre a Olanda e Belgio) con 12.600 occupati e 620 milioni di euro di fatturato: «La terra non è un supermercato dove vai a comprare a scaffale e la nostra filiera agroalimentare non è in grado di rispettare i requisiti che oggi ci vengono richiesti in fase di gara. È ora di dire basta al gioco al rialzo nella sfida ambientale a costo zero, perché alla fine qualcuno il conto lo deve pagare». La ristorazione collettiva, con marginalità scese al 2,5%, è costretta non solo a fare da cassa alla Pa (che paga in media a 100 giorni), ma non può neppure chiedere congrui aggiornamenti dei prezzi, cosa che invece può fare la ristorazione commerciale (che a 5 euro oggi non vende neppure un panino imbottito all’autogrill). Da qui la richiesta degli operatori alle istituzioni riunite nell’auditorium del Cirfood District non solo di rivedere i Cam e le base d’asta, ma di aprire un tavolo di confronto con tutti i ministeri coinvolti (Ambiente, Salute, Istruzione, Mimit, Mef) per arrivare a sottoscrivere un Testo unico della ristorazione collettiva che riconosca finalmente il valore del settore e garantisca un giusto trade-off tra competitività e sostenibilità.

Fonte: Il Sole 24 Ore