Sabra e Shatila attraverso gli occhi di una ragazzina

Sabra e Shatila attraverso gli occhi di una ragazzina

Una bambina guarda il mondo con la curiosità anarchica di chi ancora non l’ha suddiviso in schemi. Intanto, attorno a lei, uomini, ragazzi, anche suo fratello, muoiono. Non ci viene detto chi li ha uccisi. Non ci sono spiegazioni, né colpevoli in Sensi, favola tragica della scrittrice palestinese Adania Shibli. C’è solo lo sguardo osservatore della bambina che si posa sulle cose belle e su quelle brutte, scevro di emozioni. Il dolore, che sagoma le persone, emerge in chi legge non per suo tramite, ma come conseguenza dei gesti e dei fatti descritti. L’amore non si percepisce quasi, e quel poco è rabbioso, o ambiguo, o impossibile. Centellinata, la dolcezza viene dalla bellezza della natura.

Protagonista di Sensi è “ragazzina”- il suo nome non è scritto – ultima di nove sorelle e di un fratello. Vive in un mondo scrostato, in cui la ruggine, iniziata come una piccola macchiolina, ha rivestito tutto ciò che l’uomo ha costruito. Ma anche la ruggine, spalmata sulle mani, può avere riflessi d’oro. La bambina li osserva, non si sa cosa pensa, ma da come si comporta si può immaginare che cerchi di non farli andare via. E i colori di cui il mondo circostante è privo, indicati dalla lunghezza delle sue matite, li trova nell’arcobaleno, sul finire di un giorno di pioggia.

La narrazione procede spesso per istantanee che poi si animano. Ma sono fotografie che sono state mischiate, cosicché la linea del tempo non è rispettata e tutto è confuso, come deve esserlo il mondo per la piccola protagonista, cui nessuno spiega nulla. Molte altre scene sono interposte tra quella in cui il cadavere del fratello è trasportato davanti alla loro casa e quella in cui è portato dentro e lasciato scivolare tra le braccia della madre: «Nello spazio di un istante il volto del fratello è tutto bagnato perché gli occhi della madre si trovano proprio sopra di lui. Invece di asciugarsi il viso, la madre asciuga quello del figlio». Anche le emozioni di chi legge, dunque, risultano frantumate, interrotte, e si accentua l’effetto di una prosa «stringata, semplice e studiatamente disadorna»: così la definisce Monica Ruocco nella postfazione, ricordando come Shibli nel 2003, quando il libro uscì, spiegò che voleva essere l’espressione di una sorta di autismo (tawahuud), di indifferenza emotiva, che sviluppa chi deve difendersi da una quotidianità di violenza.

“Ragazzina”, vagabondando in un mondo di enigmi, rumore soverchiante e silenzio – che, da rifugio, si trasforma in prigione – impara lentamente a leggerlo e a leggere («linee un tempo prive di senso ora sono parole che creano mondi»). Così anche noi, alla fine, riusciamo a capire ciò che gli adulti sussurrano tra loro concitatamente, ignorando la bambina, e ci troviamo ancorati a un momento storico, quello del massacro di Sabra e Shatila. Leggere, capire, per la ragazzina significa però una cesura definitiva con la madre analfabeta e non prelude neppure a un diverso destino.

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Fonte: Il Sole 24 Ore