Salva casa verso l’ok, la sanatoria dribbla l’efficienza energetica

Efficienza energetica e rimozione delle barriere architettoniche restano fuori dai radar della sanatoria per le difformità. La legge di conversione del decreto Salva casa (Dl n. 69/2024, relatori: Dario Iaia, Fratelli d’Italia, ed Erica Mazzetti, Forza Italia) riduce di molto il perimetro degli interventi di adeguamento che i Comuni potranno chiedere ai cittadini per regolarizzare le opere difformi, limitandolo ai soli lavori finalizzati alla sicurezza.
Dopo lo sprint di martedì mattina, quando il testo è stato licenziato dalla commissione Ambiente della Camera, ieri il provvedimento (che scade il 28 luglio e deve ancora passare in Senato) è approdato in Aula per la discussione generale e, nel pomeriggio, come previsto, è stato blindato con la questione di fiducia dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. Il voto di fiducia ci sarà oggi, prima del voto finale sul testo uscito dalla commissione.

Molte modifiche rispetto alla versione originaria

Un testo molto modificato rispetto alla versione originaria, in vigore dalla fine di maggio. Comprenderà novità di grande peso, come l’allargamento del perimetro della sanatoria, prevista finora per le sole difformità parziali; viene ampliata anche alle variazioni essenziali, difformità piuttosto pesanti, che possono includere gli aumenti di cubatura non autorizzati. Diventano, poi, sanabili le varianti ante 1977. E vengono allentate le maglie dei requisiti di abitabilità: potranno essere dichiarati agibili, sulla base di un’attestazione di un professionista, gli immobili con altezze non superiori a 2,40 metri (oggi il minimo è 2,70 metri) e superfici non superiori a 20 metri quadri, in caso di monolocali (oggi il minimo è 28 metri), e non superiori a 28 metri quadri per i bilocali (oggi il minimo è 38). Resta, però, fuori l’atteso emendamento Salva Milano (si veda l’altro articolo in pagina), rinviato a prossimi veicoli normativi.

Il ruolo dei Comuni

Tornando alla sanatoria, questa già nella sua prima versione prevedeva la possibilità per i Comuni di condizionare la regolarizzazione degli interventi a una serie di opere, sulla base del principio per il quale è possibile che a un manufatto manchino degli elementi per essere perfettamente a norma: l’amministrazione può richiedere che, in sede di Scia in sanatoria, il proprietario metta tutto in ordine. Il decreto contiene l’elenco dei lavori che possono essere richiesti. Si trattava, nella prima versione, «di interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati, al superamento delle barriere architettoniche», oltre alla rimozione «delle opere che non possono essere sanate». In altre parole, per allinearsi alle norme su efficienza energetica, barriere architettoniche, sicurezza, abitabilità il Comune poteva chiedere lavori di adeguamento.

I costi per i cittadini

Già in sede di audizioni, però, era emerso da più parti un problema: questa norma, giudicata molto opportuna perché consente ai cittadini di adeguare i loro immobili in corsa durante la sanatoria, poteva generare costi altissimi per i cittadini. Anche perché questi costi andavano sommati a quelli delle sanzioni. Così, la maggioranza ha iniziato a ragionare su quali interventi fossero sacrificabili. E, negli emendamenti votati martedì, ha emesso il suo verdetto, stralciando il riferimento a «igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati», oltre al superamento delle barriere architettoniche. Quindi, per le amministrazioni resta solo la possibilità di chiedere interventi legati alla sicurezza, oltre che la rimozione delle opere totalmente difformi e, quindi, non sanabili.

Fonte: Il Sole 24 Ore