Salvataggio Northvolt, ci sono anche Goldman Sachs e la svedese Vargas

La svedese Northvolt, specializzata nella produzione di batterie per veicoli elettrici con l’ambizione di sfidare lo strapotere dell’industria cinese in questo settore, sta attraversando una seria crisi di liquidità. Il piano di diventare protagonista di primo piano nella catena di fornitura europea è a rischio fallimento. La società fondata nel 2016 da Peter Carlsson, attuale ceo, e Paolo Cerruti, entrambi ex dirigenti di Tesla, lo scorso 23 settembre ha annunciato il taglio di 1.600 posti nelle tre sedi operative in Svezia, poco più di un quinto della sua forza lavoro globale, e il ridimensionamento dei suoi progetti, concentrandosi sulla produzione nel suo impianto principale in Svezia a Skelleftea, nella principale zona mineraria del Paese, 200 km a sud del Circolo Polare Artico. La raccolta fondi in corso mira a ottenere circa 200 milioni di euro, di cui circa 150 milioni sarebbero già stati garantiti verbalmente da diversi investitori.

Goldman Sachs, secondo maggiore azionista dopo Volkswagen (21%, ha investito 900 milioni), sta valutando di unirsi ad altri investitori per fornire l’iniezione di capitale necessaria a risolvere la crisi. Sebbene i dettagli siano riservati, le trattative procederebbero in senso positivo, anche se il coinvolgimento della big Usa dipenderà dalla partecipazione di altri partner finanziari. Tra questi Vargas Investment Group, holding svedese attiva nel settore delle tecnologie energetiche sostenibili, guidata da un altro co-fondatore di Northvolt, Harald Mix, che potrebbe partecipare con 100 milioni di corone svedesi, poco meno di 9 milioni di euro.

Volkswagen, in ogni caso, ha manifestato la propria disponibilità a sostenere l’azienda svedese. E anche Scania, divisione camion del gruppo Vw che utilizza batterie Northvolt, potrebbe fornire supporto finanziario attraverso preordini.

Il quadro è complicato dalla varietà di creditori, investitori e istituzioni. Northvolt ha attratto ingenti investimenti sin dall’avvio dell’attività, raccogliendo circa 13 miliardi di dollari, tra equity e debito, grazie a investitori come BlackRock, la stessa Goldman Sachs, Volkswagen, diversi fondi pensione. La crescita è stata sostenuta anche dai prestiti della Banca europea degli investimenti (Bei). La rapida espansione e la pianificazione di nuovi impianti in Germania (ad Heide, lavori avviati in marzo, 900 milioni dal governo tedesco con approvazione Ue) e Canada non ha evitato i problemi, ad esempio la cancellazione di un ordine da 2 miliardi di euro da parte di Bmw in giugno.

Sia la vice premier svedese Ebba Busch che il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck hanno recentemente sottolineato l’importanza di salvare Northvolt. E pensare che solo due anni fa si parlava di Ipo e quotazione a partire da un valore di mercato pari a 20 miliardi di euro. Il destino dell’azienda ha un risvolto geopolitico, perché, mentre i grandi produttori europei frenano la produzione in proprio di batterie o la realizzazione di nuovi siti per il calo della domanda di auto elettriche, la grande domanda è cosa ne sarà dell’agognata indipendenza europea, fondamentale per la transizione energetica e la competitività nei confronti dell’attore numero uno, la Cina.

Fonte: Il Sole 24 Ore