Sangue infetto, ministero responsabile per Hiv ed epatiti a partire dal 1 gennaio 1968
Il ministero della Salute risponde dei danni provocati da trasfusioni di sangue infetto a partire dal 1 gennaio 1968. Per la Cassazione (sentenza 14748) a fare da spartiacque è la pubblicazione nella Gazzetta del 31 luglio ’67 della legge 592/1967 sulla raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano. I giudici della Suprema corte nel far coincidere con il 1 gennaio 1968 il momento dal quale si possono considerare dovuti gli obblighi di cautela nelle trasfusioni, tiene conto del «lasso di tempo ragionevolmente occorrente per organizzare le attività di vigilanza e controllo». Il ministero della salute è dunque dall’inizio del ’68, responsabile per le epatiti B e C e per l’Hiv, provocate da trasfusioni di sangue non sicuro. Una colpa nella vigilanza che riguarda anche virus all’epoca sconosciuti: i test identificativi per le patologie conseguenti a Hbv, Hiv e Hcv risalgono, infatti, rispettivamente agli anni 1978, 1985 e 1988. Ma sul punto la giurisprudenza ha affermato che già alla fine degli anni 60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale «ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica».
I compiti specifici sul trattamento del sangue umano
La Suprema corte individua il momento dell’omissione come fonte di colpa della struttura sanitaria, in occasione del ricorso di una donna che chiedeva il risarcimento per la morte del marito, in conseguenza di un’epatite contratta con una trasfusione fatta in ospedale nel 1963. Per la Cassazione si deve escludere che la data utile possa coincidere con la pubblicazione della legge 296/1958 con la quale venne istituito il ministero della Sanità, con il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica. La norma era, infatti, solo organizzativa non disponeva nulla sulle attività del ministero riguardo all’utilizzo del sangue. È solo con la legge 592/1967, pubblicata il 31 luglio, che furono attribuiti al dicastero compiti specifici sulla raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano. La Cassazione analizza i vari articoli: dalla distribuzione per le trasfusioni del sangue umano e la preparazione degli emoderivati, al via libera a importazione ed esportazione per uso terapeutico, profilattico e diagnostico, fino alla chiusura dei centri non autorizzati. Ad avviso della Suprema corte dunque «alla luce di queste attribuzioni e dello stato delle conoscenze scientifiche dell’epoca (che già dalla metà degli anni sessanta escludevano dalla possibilità di donare il sangue coloro che presentassero valori alterati della funzionalità epatica) può senz’altro ritenersi che, a seguito dell’entrata in vigore della legge n.592/1967, il Ministero fosse tenuto a compiere controlli finalizzati ad evitare l’impiego di sangue infetto per le trasfusioni e per la produzione di emoderivati».
Fonte: Il Sole 24 Ore