Satelliti a infrarosso per monitorare le perdite di metano

Satelliti a infrarosso per monitorare le perdite di metano

Quando il gasdotto Nord Stream tra Russia e Germania fu danneggiato da una misteriosa esplosione nel 2022, le perdite di metano furono così grandi che si poteva vedere a occhio nudo il mare ribollire di gas. GhgSat ne approfittò per divulgare un’immagine del gigantesco pennacchio di metano registrata dallo spazio con l’occhio a infrarossi dei suoi satelliti e dimostrare così la validità della sua tecnologia per rilevare le emissioni di questo potentissimo gas serra.

Come viene rilevato il metano?

Fino a poco tempo fa non c’era un quadro chiaro delle perdite di metano nel mondo. Non c’erano satelliti dedicati e gli scienziati utilizzavano sistemi satellitari alternativi, come lo strumento Tropomi a bordo del satellite Copernicus Sentinel-5P, per rilevare le perdite di metano. Ora una nuova generazione di satelliti sta colmando importanti lacune nel sistema di rilevamento mondiale, utilizzando sensori a infrarossi, che registrano le tracce del metano nell’atmosfera osservando il modo in cui il gas assorbe la luce solare riflessa dalla superficie terrestre. Nel 2023, GhgSat ha rilevato metano equivalente a 0,5 miliardi di tonnellate di CO₂, il doppio del livello scoperto l’anno precedente.

GhgSat al servizio delle società petrolifere

Leader mondiale nel monitoraggio delle emissioni di gas serra dallo spazio, GhgSat dispone della più grande costellazione di satelliti commerciali in grado di rilevare le emissioni di metano e anidride carbonica ad alta risoluzione. Ha 12 satelliti in orbita, con cui monitora le emissioni per i suoi clienti nel settore degli idrocarburi e delle attività minerarie, oltre che per i governi, e condivide i suoi dati con la Nasa e l’Agenzia spaziale europea. Fondata e diretta da Stéphane Germain, l’azienda con sede a Montreal è in rapidissima crescita: i suoi ricavi sono aumentati da poche centinaia di migliaia di dollari nel 2019 a 20 milioni di dollari l’anno scorso. Fra i suoi clienti c’è anche il programma di rilevamento dell’Oil and Gas Climate Initiative, che comprende 12 giganti del petrolio (fra cui Eni), grazie al quale nel 2023 sono state tappate tre grandi perdite in Kazakistan e in Algeria, secondo l’ultimo rapporto dell’Ogci.

L’incentivo della trasparenza

Le perdite da vecchi impianti rappresentano un problema molto rilevante, non solo nelle nazioni in via di sviluppo, a cui si rivolge il programma dell’Ogci, ma anche nei Paesi ricchi come gli Stati Uniti, che sono i primi emettitori di metano a livello mondiale, seguiti dalla Russia e dall’Iran. Il rapporto non rivela il nome degli operatori responsabili delle perdite, sostenendo che è fondamentale costruire un rapporto di fiducia piuttosto che di colpevolizzazione. Non tutti, però, sono d’accordo con questo approccio. Andrew Baxter, direttore energetico dell’Environmental Defense Fund, riconosce l’importanza del programma Ogci, che unisce il rilevamento satellitare all’impegno peer-to-peer e al supporto finanziario per affrontare le emissioni. «Ma penso che la trasparenza sia un enorme incentivo ad agire», commenta Baxter, che intende garantire invece la piena trasparenza sui responsabili delle perdite individuate da MethaneSat, il satellite lanciato in marzo dalla Ong ambientalista americana.

La collaborazione tra Google e MethaneSat

Costato 88 milioni di dollari, MethaneSat è progettato per misurare le perdite di metano che altri satelliti non riescono a rilevare, cercandole dove altri sistemi di rilevamento non stanno cercando. Può calcolare le perdite totali, da dove provengono e come cambiano nel tempo, fornendo uno strumento ai regolatori che si apprestano a imporre sanzioni finanziarie per le infrastrutture che perdono. Altri satelliti, secondo la Ong americana, offrono un’alta risoluzione spaziale o un’ampia copertura. «MethaneSat è il primo satellite del suo genere a offrire il meglio di entrambi i mondi, sia in termini di copertura spaziale che di sensibilità alle emissioni», sostiene Patrick Barker, analista di Wood Mackenzie. Il progetto, che si è assicurato anche l’adesione di Google, può rilevare emissioni fino a 500 kg all’ora da aree piccole quanto un chilometro quadrato, scansionando contemporaneamente un campo visivo di 200 km di larghezza. Google, da parte sua, fornisce le capacità di elaborazione basate sull’intelligenza artificiale, necessarie per elaborare le enormi quantità di dati prodotte dal rilevatore di metano in orbita. La collaborazione con Google consente al team di MethaneSat di utilizzare Google Cloud, AI, mappatura e immagini satellitari per fornire la prima mappa completa che mostra come diversi tipi di macchinari contribuiscono alle perdite di metano nel tempo. «Entro la fine del 2025 dovremmo avere un quadro molto chiaro su scala globale dai principali bacini di petrolio e gas in tutto il mondo», ha affermato Steven Hamburg, direttore scientifico dell’impresa. Sarà il primo passo per riuscire a fare pulizia.

Fonte: Il Sole 24 Ore