Separazioni e divorzi: ricorso unico ma gli assegni all’ex restano diversi

Con la riforma Cartabia della giustizia civile, dal 1° marzo 2023, nell’introdurre il procedimento di separazione, marito e moglie possono proporre anche la domanda di divorzio e le richieste connesse (articolo 473-bis.49 Codice di procedura civile) ma il cumulo di domande in un unico ricorso lascia intatte le distinzioni tra l’assegno separativo e quello divorzile. Difatti, con la separazione il vincolo coniugale resta in vita, e con esso un assegno teso a garantire al coniuge economicamente più debole il tenore di vita pregresso. Invece, con il divorzio il legame creato dal matrimonio cessa definitivamente per cui l’assegno – avente funzione assistenziale e perequativo-compensativa – copre le esigenze basilari dell’ex partner non economicamente autosufficiente, valorizzandone al contempo l’apporto dato alla famiglia. Vediamo, in dettaglio, le indicazioni dei giudici.

Dopo la separazione

Pur avendo funzione conservativa, ottenere l’assegno di separazione non è più scontato come un tempo. Il giudice, infatti, sulla scorta di un’attenta indagine sulle condizioni patrimoniali dei coniugi, lo stabilirà a carico del più facoltoso solo a fronte di un accertato e concreto divario economico. Terrà conto, allora, sia dei costi che ciascun partner dovrà sobbarcarsi (canoni di locazione, ratei del mutuo sulla casa familiare, eventuali finanziamenti), sia dell’età del beneficiario, delle sue prospettive di lavoro, dei beni di cui dispone, sia della durata del matrimonio e di ogni altro elemento utile a ricostruire lo scenario economico attuale. Ecco perché gli accordi raggiunti al momento della separazione, come le decisioni del giudice, potranno sempre essere ribaltati in sede di divorzio.

Il divorzio

Dato che l’assegno divorzile scatta per l’ex privo di mezzi adeguati e incapace di procurarseli per motivi oggettivi, andrà innanzitutto appurato se la fine del matrimonio abbia causato, comparate le condizioni economico-patrimoniali di ciascuno, un divario rilevante (Cassazione 28936/2022). In caso di squilibrio, si deve indagare (Cassazione 11832/2023) se questo derivi da scelte personali o condivise; l’assegno viene quindi attribuito all’ex economicamente fragile per aver sacrificato – con il consenso dell’altro – le proprie aspettative lavorative o professionali (Cassazione 27948/2022). L’assegno, in pratica, viene riconosciuto solo a fronte di incolpevole mancanza di autosufficienza del richiedente (Tribunale di Vibo Valentia 1/2023), fermo restando che la funzione equilibratrice non è tesa a ricostituire il tenore di vita matrimoniale (Corte d’appello di Bologna 253/2023).

Ma attenzione, perché alla casalinga può non bastare il fatto di essersi adoperata per 20 anni in casa per vedersi riconoscere l’assegno: deve invece provare che lo squilibrio, presente al momento del divorzio fra la sua situazione reddituale e patrimoniale e quella dell’ex, è l’effetto del sacrificio delle aspirazioni professionali a favore delle esigenze familiari (Cassazione 10614/2023). In questo solco, l’assegno è attribuito al consorte che abbia sostenuto la crescita professionale della moglie permettendole prima di laurearsi e poi di fare carriera (Cassazione 10016/2023).

Via libera al mensile, inoltre, per la ex che, anche se ha ottenuto l’attribuzione della casa coniugale, non è assunta a tempo indeterminato ma insegna con incarichi a rinnovo annuale (Cassazione 665/2023).

Fonte: Il Sole 24 Ore