sfide e impatti sul mondo del lavoro

La diffusione dell’intelligenza artificiale nelle imprese è lentamente iniziata intorno al 2015 e ci aspettano almeno altri dieci anni di accelerazione rispetto alla sua diffusione e all’impatto nella società. I dati Istat ci dicono che oggi a utilizzare strumenti di Intelligenza Artificiale sono circa il 25% delle grandi imprese e solo il 5% delle PMI; le prime hanno investito soprattutto nell’applicazione di algoritmi di machine learning a supporto della manutenzione predittiva (il settore elettrico è, secondo le analisi dell’Istat, l’ambito settoriale con la maggior diffusione in questo senso). È inoltre ragionevole aspettarsi che, nei prossimi cinque anni, nelle aziende più strutturate, assisteremo a un crescente utilizzo della AI generativa, in grado di eliminare mansioni ripetitive soprattutto per quanto riguarda il supporto tecnico al cliente o la vendita. In questi anni, in modo analogo, le grandi imprese hanno investito nella creazione di “gemelli digitali” (digital twins) per progettare prodotti sempre più complessi. L’utilizzo di dati granulari e del cloud, uniti a una maggiore potenza di calcolo, permettono, ad esempio, di studiare virtualmente il comportamento e le prestazioni di alcuni processi anche in scenari estremi: in altre parole, il digitale consente a manager e progettisti di costruire soluzioni capaci di funzionare anche in presenza di “cigni neri”.

Sfide e opportunità dell’AI

L’ingresso in azienda di queste tecnologie richiede modi nuovi di lavorare, progettare, gestire rischi e prendere decisioni, nonché capacità organizzative sempre maggiori. Questo aprirà a più ampi divari di competitività tra le imprese leader dell’innovazione e quelle che utilizzano meno il digitale: i trend di produttività del lavoro, stabili in Italia da più di 30 anni, ci ricordano tuttavia che questi divari già esistono e pesano sia sulla competitività del paese sia sull’evoluzione dei salari. Affrontare le sfide dell’AI richiederà non solo ai manager, ma a tutta la popolazione aziendale la capacità di prendere decisioni “informate” facendosi guidare tanto dai dati quanto dalla propria esperienza. Si tratta di una sfida non banale: molte imprese, in passato, sono state costruite sulla base della standardizzazione dei protocolli e dell’accentramento delle decisioni sul manager, con lo scopo di minimizzare la discrezionalità delle persone con ruoli intermedi e operativi; al contrario uno degli effetti dell’AI sarà una maggiore partecipazione dal basso. I primi studi organizzativi condotti, anche in Italia, evidenziano come le diverse tipologie di AI stiano contribuendo a far evolvere il concetto di partecipazione ai processi di miglioramento continuo. Un esempio è quello dell’elaborazione di report tecnici: questi possono essere messi a punto dai lavoratori con più esperienza e codificati attraverso algoritmi di AI generativa per renderli più accessibili ai dipendenti giovani che possono rendersi più velocemente autonomi e produttivi. La presenza in azienda di una buona preparazione teorica da parte dei dipendenti permette inoltre di addestrare gli algoritmi predittivi a cogliere elementi specifici e rari di contesti di produzione.

L’importanza di integrare le competenze

La diffusione dell’Intelligenza Artificiale renderà necessario integrare le competenze tipiche dei ruoli operativi delle aziende con quelle digitali e di ingegneria dei dati, pertinenti a specialisti che le università stanno formando sempre di più. Tale sfida richiede la creazione di ruoli di collegamento in grado di favorire lo scambio tra conoscenze peculiari delle aziende e le competenze in materia di AI, dati e algoritmi. Serviranno, inoltre, alle imprese patti generazionali, dal momento che queste competenze si trovano in lavoratori con un diverso livello di anzianità. In settori iper-competitivi e con pressioni sul costo del lavoro, il rischio è favorire le carriere degli specialisti digitali e di non valorizzare, invece, le competenze uniche frutto dell’esperienze di ciascuna azienda. Nella moda, ad esempio, l’ingegnerizzazione di abiti di lusso grazie alla prototipia virtuale in 3D non potrebbe esistere senza l’esperienza del sarto nel gestire tagli e tessuti. Al contempo, la collaborazione tra questo e lo specialista digitale – esperto di modelli al CAD – permette di condurre molte più sperimentazioni prima di arrivare al prototipo con lo stilista. La tecnologia cambia quindi il modo di lavorare di mestieri tradizionalmente artigianali, ma anche dei ruoli tecnici: i conduttori di una centrale elettrica, per esempio, devono oggi integrare l’esperienza pratica con la consultazione di dati e le prescrizioni di algoritmi, che suggeriscono operatività teoricamente più efficienti.

Formare figure professionali che comprendano rischi e potenzialità dell’AI

L’AI sovvertirà dinamiche competitive, in quanto sta già favorendo una concentrazione di potere economico in pochi grandi attori. Manager e imprese saranno sempre più chiamati a ridurre le dipendenze relazionali sull’uso di questa tecnologia e a rispondere sul governo dei propri dati operativi dai grandi fornitori di soluzioni di AI come Google, Microsoft, Amazon, Open AI. Circa quindici anni fa hotellerie e commercio hanno dovuto affrontare una sfida analoga nel momento in cui la visibilità e l’accesso ai clienti nel mondo online passava quasi esclusivamente attraverso l’intermediazione delle grandi piattaforme digitali. Oggi in Europa la regolazione nei regimi di competizione e dell’utilizzo dei dati – e, più in generale, dell’AI – potrebbe aiutare l’impresa a mitigare rischi strategici, legali e operativi; ma potrebbe rendere più complicata la ricerca del vantaggio competitivo.

La sfida per l’Università è offrire la formazione necessaria per sovvertire i diversi tipi di sbilanciamento. Non occorre potenziare unicamente l’insegnamento delle discipline STEM, in particolare scienza e ingegneria dei dati, ma è necessario collocare l’AI in modo trasversale nei curricula delle altre discipline per trasmettere le competenze di base utili a comprendere e gestire questa tecnologia general-purpose.

Fonte: Il Sole 24 Ore