Smart working, nel rientro in sede la motivazione “costa” un aumento del 30%

Lo smart working è percepito non solo come una modalità organizzativa, ma anche come un benefit. Non a caso le strette o le richieste di rientrare in ufficio generano sempre un certo malessere e non sono quasi mai volontarie. Da una ricerca che è stata fatta dalla società di recruiting Hays Italia, in collaborazione con lo Studio legale Daverio&Florio, coinvolgendo oltre 700 lavoratori che stanno usufruendo dello smart working, emerge che solo per il 14% dei lavoratori il ritorno in ufficio non avrebbe un impatto. Per accettare la cancellazione del lavoro agile, i professionisti chiedono circa il 30% in più del proprio stipendio netto attuale: in media circa 7.000 euro annui.

I professionisti coinvolti nella survey nel 68% dei casi in media, con un picco del 72% che riguarda le donne, dicono che inizierebbero a cercare un nuovo lavoro, senza però lasciare quello che hanno. Solo il 7% dice che lo lascerebbe senza avere un’alternativa. Donne, lavoratori tra i 25 e i 34 anni e dipendenti di grandi aziende, che coprono posizioni junior o intermedie, appaiono come i più critici nelle risposte

Il costo del rientro in ufficio

Ogni cambiamento organizzativo si porta dietro entusiasmi e malcontento. Un ritorno al passato, di cui peraltro in Italia non si vedono ancora chiari segnali, se escludiamo le piccole e medie imprese che hanno utilizzato lo strumento durante la fase emergenziale della pandemia, avrebbe quindi un costo. O in termini di engagement o in termini di flessibilità o in termini economici.

Molti intervistati sarebbero anche disposti a cambiare idea, ma a quel punto l’aspetto economico diventa un fattore chiave: per adeguarsi alla fine dello smart working vorrebbero un aumento medio del proprio stipendio di circa il 30%. Se consideriamo il salario netto medio italiano, Hays calcola circa 7mila euro di aumento. Un costo per molte aziende insostenibile.

L’attenzione alla motivazione

«Dalla survey emerge chiaramente come ormai lo smart working sia uno dei primi elementi valutati da chi cerca lavoro, e le aziende che decidono di tornare alla modalità classica dovranno gestire attentamente e con cautela il passaggio», interpreta Alessio Campi, People & Culture Director di HAYS Italia. Questo vale soprattutto nei confronti dei dipendenti attuali, almeno nel breve periodo: «Solo una piccola parte sarebbe disposta a restare nell’attuale azienda in assenza di lavoro da remoto, tanto che in maniera provocatoria quasi i due terzi degli intervistati ritiene ormai lo smart working un diritto di fatto», osserva Campi.

Fonte: Il Sole 24 Ore