Social network a pagamento, in equilibrio tra business e privacy
Sembra ormai ufficiale: l’era di un internet gratuito si avvia verso il tramonto. Dopo i giornali è ora il tempo dei social network, viste le ultime indiscrezioni su Meta di Mark Zuckerberg e X di Elon Musk. Quando tra la fine degli anni 90 e i primi Duemila, i giornali iniziarono ad andare online, non esistevano paywall, l’informazione era gratuita e accessibile senza dover andare in edicola. Una vera e propria rivoluzione. Qualche anno dopo iniziarono a farsi largo dapprima i blog e poi i primi social network: linkedin, Twitter, Facebook, MySpace.
Alcuni sopravvissero (Meta), altri morirono (MySpace), altri cambiarono nome (Twitter), altri furono venduti a grandi colossi (Instagram e LinkedIn). Parlando di blog, quello forse più famoso al mondo, più di The Blonde Salad di Chiara Ferragni, fu quello di una certa Arianna Huffington, l’Huffington Post, da anni una vera e propria testata giornalistica globale, poi venduto a un altro editore.
In campo il Gdpr e il Digital Services Act
Ciò che accomuna queste storie e i loro destini, è che l’entusiasmo per questa “liberazione” dell’informazione ha dovuto fare i conti con la realtà: la pubblicità online non era sufficiente a sostenere i costi.A subire il primo colpo furono i giornali, e allora a finire sul banco degli imputati furono i grandi colossi tech, i noti social network, più bravi nella profilazione e quindi anche nella raccolta pubblicitaria. E per anni è stato così fino a quando le norme più stringenti introdotte dal Gdpr (con un effetto indiretto sulla direttiva e-privacy) hanno imposto di chiedere ai lettori, e agli utenti, se volevano essere tracciati, invece di farlo in automatico come si era sempre fatto.
A continuare in questa direzione ci ha pensato il Digital Services Act, entrato in vigore per le Big Tech a fine agosto, imponendo nuovi limiti alla profilazione e all’uso di dark pattern.Per non morire, alcuni giornali nell’ultimo anno hanno imboccato una via rischiosa, mettendo il lettore davanti a una scelta: chi vuole continuare a leggere gratuitamente un articolo deve accettare di farsi tracciare, altrimenti o si abbona o paga quel piccolo contributo che i giornali riceverebbero dai banner personalizzati.
La svolta a pagamento dei social
Sul punto il Garante non si è ancora espresso ma pare che la cosa potrebbe essere accettata se affrontata con la dovuta trasparenza e se l’obolo richiesto sia proporzionato, in modo che la scelta di farsi tracciare non sia obbligata. Una cosa è chiedere uno o due euro al mese per non essere tracciato e leggere un articolo non per abbonati, e un’altra e chiederne 10. Se c’è qualcuno che sta guardando con interesse a questa possibilità sono, di nuovo, i social network. È notizia di qualche giorno fa, riportata dal New York Times, che Meta starebbe pensando di offrire in Europa una versione a pagamento di Facebook e Instagram senza pubblicità, oltre alla versione classica che abbiamo usato finora. In tal modo, chi non volesse essere profilato avrebbe una alternativa senza effetti negativi sui conti del colosso tech.
Fonte: Il Sole 24 Ore