Soldi sottratti dall’home banking? La truffa è aggravata dal furto dell’identità digitale

Alla frode informatica si unisce l’aggravante del furto dell’identità digitale, per l’uso illegittimo delle credenziali di accesso all’home banking, dal pin alla chiavetta, per prelevare denaro. La conseguenza è un aumento di pena con una forbice da due a sei anni. La Cassazione, nell’avallare il giro di vite, esclude che il raggio d’azione dell’aggravante sia limitato alle procedure di validazione che godono del bollino blu della pubblica amministrazione, come lo Spid, il Cie o la firma digitale. La tutela più stringente va, infatti, estesa anche alle credenziali che servono per “entrare” nei sistemi informatici gestiti dai privati come i servizi della home banking o le piattaforme di vendita on line. Restringere la possibilità di far scattare l’aggravante, come pretendeva la difesa dell’imputato, vuol dire negare l’esistenza delle diverse tipologie di identità digitale, caratterizzata da soglie differenziate di sicurezza tarate sulla natura delle attività da compiere nello spazio virtuale.

La tutela del credito al consumo

In più significa entrare in rotta di collisione con la volontà del legislatore che ha inteso «rafforzare la fiducia dei cittadini nell’utilizzazione dei servizi on line ponendo un argine al fenomeno delle frodi realizzate soprattutto nel settore del credito al consumo mediante il furto di identità». Una maggiore protezione – che passa anche per l’inasprimento delle pene attraverso l’applicazione dell’aggravante – va dunque garantita nel caso dell’uso illegittimo delle credenziali per accedere all’home banking, ma anche per quello del pin, non a caso acronimo inglese di “personal identification number”, come per le chiavette elettroniche. Dispositivi «che producono di volta in volta un codice per effettuare l’operazione bancaria , dal momento che, in tutti i casi, invero ormai sempre più numerosi – si legge nella sentenza – quel che rileva è che i dati di accesso al sistema informatico di volta in volta compulsato dall’agente direttamente o attraverso l’uso di dispositivi elettronici, individuino in modo esclusivo ed univoco una determinata persona attraverso numeri o lettere secondo una sequenza unica destinata ad essere utilizzata – ripetutamente o di volta in volta tramite appositi congegni, solo dal titolare o da soggetto da questi autorizzato e che, nella sostanza, sostituisce le generalità».

Nel caso esaminato è dunque confermata la mano pesante sulla condanna a carico del ricorrente che si era appropriato, senza autorizzazione, della chiavetta elettronica del titolare del conto, e l’aveva usata per stornare indebitamente somme di denaro.

Fonte: Il Sole 24 Ore