Specchiarsi in mani e tette per andare oltre il narcisismo

Specchiarsi in mani e tette per andare oltre il narcisismo

Ancor prima che arte, è sociologia e cultura, ed è lo specchio di ognuno. Si legge di capelli, occhi, nasi, orecchie, si vedono labbra, denti, schiene, tette, mani, sederi, vagine, peni e piedi, ci sono i capolavori di Tiziano, Munch, Caravaggio e Schiele, e decine d’altri, ma prima ancora ci siamo tutti noi con la percezione del nostro e altrui corpo. Sono davvero mani, tette e sederi quelli rappresentati dagli artisti o non è forse un’idealizzazione, un tempo congelato con i suoi stereotipi? Stefano Causa, storico dell’arte, e Arabella Cifani, critica e curatrice, con Corpo a corpo. Una storia dell’arte dalla testa ai piedi, creano un catalogo delle parti del corpo umano nell’arte che supera la cultura per farsi specchio. È un divertissement serio e documentato per capirci meglio e capire gli altri attraverso l’arte. Se, poi, vorrete giocare, il materiale è pronto: quali quadri ricordate con le mani? E tu, quali artisti e artiste hai amato fra quelli che si sono concentrati sul sedere?

Gli autori hanno scelto di spegnere internet e andare di memoria, di spingere solo sulle opere che sono genetica visiva: «Ci auguriamo che i lettori possano trovare nuovi strumenti di conoscenza e di esplorazione e scoprire aspetti nascosti o trascurati della storia dell’arte. Magari in fuga dalla normale condizione della vita umana e della pesante corporeità che ci lega alla terra, alla ricerca di dimensioni e sensazioni più profonde, inesplorate o inespresse». La sensazione che lasciano queste pagine, quasi un catalogo che si può spiluccare un po’ qua, un po’ là, ritrovando sapori intensi e diversi, è quella di riappropriarsi del corpo, lontano dal narcisismo. Artisti e anche modelli e modelle in posa cercavano la perfezione che, a distanza di secoli, non pare più tale. O sono tutte perfezioni connaturate al loro tempo, così non serve essere narcisi: son tutti belli i corpi del tempo. Basta – ammoniscono Causa e Cifani – «osservarli con attenzione, meditare sulle cose viste, prendendosi del tempo per vedere veramente e per pensare, può aiutarci a superare le limitazioni imposte dalle nostre menti e dall’educazione ricevuta».

I capelli datano le opere con le acconciature che rappresentano un codice di storia del costume, dalle antiche romane fino alle donne di Lorenzo Lotto, dalla parrucche monumentali al caschetto dei Beatles fino a John Travolta che raccomandava di impomatarli. I capitoli si sfogliano veloci: il belga Khnopff dipinge donne (e bimbi) che sembrano apparizioni dell’oltretomba, vampiri, ectoplasmi; Rembrandt fa degli occhi pretesto di scavi materici, quasi aprisse crepe nel terreno; in quello di Escher dentro ci si vede riflessa, al fondo della pupilla, la morte. I nasi sono memorabili imperfezioni (il profilo di Piero della Francesca di Federico da Montefeltro con il ponte nasale rotto) o monumenti della storia (Dante in tutti i suoi ritratti) o armi (Laura Battiferri dipinta da Bronzino a Palazzo Vecchio).

Le orecchie come un girotondo, dal Giudizio di Mida di Cima da Conegliano (Parma, Galleria nazionale) a quelle di Mida in cui sussurrano l’Ignoranza e il Sospetto nella Calunnia di Botticelli, fino ad Artemisia Gentileschi con Susanna e i vecchioni. Le labbra non sono solo quelle iconiche di Mick Jagger ma anche il “mento asburgico” – in realtà un difetto ereditario – di Carlo II di Spagna. Le schiene dei Bronzi di Riace, del David di Donatello e di Michelangelo e le schiene del Perseo celliniano sono modelli e poi piovono tette: «un seno è questione di ambiente prima che di spazio, volume e prospettiva» perché, spiega Causa, «il seno si ammira mentre la tetta è, come si dice a Napoli, da “maniare”».

L’arte varca la soglia dell’ammirazione, perché va rielaborata. Per ritrovarsi. Ci sono le mani immortali della Pietà di Giovanni Bellini e poi di Albrecht Dürer o Leonardo. O una rassegna di chiappe che gli autori definiscono “lato C”: ai fiammingo-olandesi spetta il record dei sederi più brutti mentre, fra quelli del Seicento, nessuno eguaglia il fondoschiena della Venere allo specchio di Diego Velázquez. Si divertono gli autori, e noi con loro. Anche nel catalogo delle vagine, sorprese e ritorni: a partire dal bassorilievo della Donna di Porta Tosa al Castello Sforzesco di Milano, dove l’ardita milanese fa il gesto dell’anásyrma (si tira su le gonne per mostrare il sesso), rimosso su ordine del cardinale Borromeo. Chissà, poi, quanto scandalo aveva gettato, nel 1896, Giacomo Grosso esponendo alla Triennale torinese una ragazza che non ha nulla da nascondere. Oggi è arte, segno eterno del tempo.

Fonte: Il Sole 24 Ore