Statali, ok al contratto: 165 euro di aumento, più lavoro agile e buoni pasto

Statali, ok al contratto: 165 euro di aumento, più lavoro agile e buoni pasto

È arrivata la firma definitiva al contratto nazionale delle Funzioni centrali del pubblico impiego, che a febbraio porterà nelle buste paga dei 193mila dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici un aumento medio di 165 euro lordi, arretrati una tantum per circa mille euro e soprattutto una serie di novità ordinamentali destinate, per non si sa quanto tempo, a rimanere confinate in questo comparto: perché per sanità, enti locali e scuola l’intesa è resa impossibile dal blocco dei sindacati contrari che in quei settori hanno la maggioranza di voti e deleghe.

I numeri in busta paga

Anche ieri all’Aran si sono infatti riprodotti gli schieramenti che hanno condotto alla cosiddetta firma separata della preintesa il 6 novembre scorso. L’accordo finale è stato siglato da Cisl, Confsal Unsal, Flp e Confintesa, mentre hanno ribadito il proprio no Cgil, Cisl e Usb. Nella Pa centrale, il blocco dei favorevoli ha cumulato il 54% della rappresentatività. Sul piano economico, l’effetto immediato è rappresentato da un aumento del 6% che si traduce in 165 euro lordi medi al mese. Per il tabellare, le tabelle del nuovo contratto indicano incrementi da 121,4 euro per gli operatori, il grado più basso nella gerarchia del personale non dirigente, 127,7 euro per gli assistenti, 155,1 per i funzionari e 193,9 per le “elevate professionalità”, i quadri creati dalla precedente intesa nazionale e ora in via di formazione, a ritmi differenziati, nelle varie amministrazioni. Ma nel conto devono entrare anche il nuovo ritocco al rialzo (dello 0,22%) dei tetti di spesa per il fondo accessorio e l’attribuzione del buono pasto anche per i giorni in lavoro agile.

Cresce il lavoro agile

Sullo smart working intervengono anche una serie di novià organizzative, che provano a creare un ordinamento a regime dopo l’altalena avviata dal lavoro a distanza generalizzato con la pandemia e dal successivo tentativo di stringere le maglie attuato dal Governo Draghi con il principio della “prevalenza” delle giornate d’ufficio. Il nuovo impianto reintroduce elementi di flessibilità, da modulare a discrezione nelle singole amministrazioni in base alle esigenze organizzative e alle caratteristiche del loro personale. Nei contratti integrativi bisognerà infatti “facilitare il lavoro agile ai lavoratori che si trovino in condizioni di particolare necessità”, a partire da chi documenta esigenze di salute, chi assiste familiari disabili e chi gode dei benefici di legge a tutela della genitorialità. Ma il mandato assegnato dal contratto nazionale alle intese di secondo livello è in realtà più ampio, e permette a ogni tavolo di individuare “altre casistiche” a cui garantire più giorni in smart working rispetto a quelli previsti per gli altri dipendenti.

Carriere, tutoraggio e settimana corta

L’estensione del lavoro agile ha un occhio di riguardo anche nei confronti dei nuovi assunti, che sempre più spesso manifestano esigenze di maggiore conciliazione tra vita e lavoro anche per quel che riguarda la necessità di trasferirsi in altre città per raggiungere l’ufficio. Ma a loro, e insieme ai tanti dipendenti vicini alla pensione per la gobba anagrafica che caratterizza oggi gli uffici pubblici, guarda anche un’altra regola, molto innovativa, introdotta dal nuovo contratto. Si tratta dell’age management, che chiede alle amministrazioni di “valorizzare il ruolo attivo del personale con maggiore esperienza” anche con iniziative di formazione, affiancamento e tutoraggio, e allo stesso tempo di salvaguardare le esigenze dei meno giovani con strumenti di flessibilità organizzativa.
In fatto di carriere, il contratto proroga fino al 30 giugno 2026 la possibilità di effettuare progressioni economiche valorizzando l’esperienza, in deroga ai requisiti relativi ai titoli di studio introdotti dal nuovo ordinamento.
Da segnalare, infine, la sperimentazione della “settimana corta”, cioè la possibilità di articolare in quattro giorni anziché in cinque l’orario di lavoro che resta comunque fissato in 36 ore. Questa opzione ha fatto molto discutere, ma ora bisognerà misurarne l’applicazione effettiva che esclude i settori con rapporti diretti con il pubblico e che appare destinata a concentrarsi soprattutto in enti medio-piccoli senza eccessive complessità organizzative.

Fonte: Il Sole 24 Ore