Stazioni di servizio, fiammiferi, idee di libri e libertà
Da Oklahoma City a Los Angeles la distanza non è indifferente: dico proprio quella geografica, non solo quella,enorme, culturale e sociale. Ed Ruscha (1937), grande artista americano, quelle 20 e passa ore di auto le deve aver fatte non poche volte ai tempi, anni 50, ed era magari non inevitabile ma forse fatale (per un artista quello che finisce nella sua opera è, deve essere, fatale) che si “accorgesse” del paesaggio che attraversava. E della cosa più banale che doveva fare, cui nessuno, tutto sommato, badava: fermarsi ogni tanto, andare in bagno, bere, fare rifornimento. 26 stazioni di benzina, sulla mitica Route 66, una litania che Ruscha decide, primo al mondo, che meriti di finire dritta dritta in un libro: e un libro d’artista, per di più, seminale quanto l’«Imbullonato» di Depero (il libro che esplicita prima di tutto il suo essere un “oggetto meccanico” più che un contenitore di testo, che resta pur sempre la nozione più comune di libro). Twentysix Gasoline Stations è una rivoluzione. Sì: promette e mantiene ciò che il titolo dichiara, ma rompe con una tradizione che ha precedenti eccezionali e bellissimi in senso stretto (che so, Jazz di Matisse) e/o geniali in senso metafisico (devo ancora citare i libri senza parole, gli “illeggibili” di Munari, al Moma già dal 1955? Mi sto zitto). Questi di Ruscha son spazi banali, gli elementi più triti dell’orizzonte visivo: stazioni di servizio, appunto, parcheggi o palme. In forma apparentemente ridotta e semplice Ruscha, con quei suoi sedici libri tra il 1962 e il 1978 – che con grafica elementare e nuda, ma così accattivante, costituiscono, anche in quello, un precedente importante per decine di libri d’artista a venire –, spariglia letteralmente le carte. Contraddizioni della tradizione, e nuovo standard: i libri di Ruscha sono speciali. E vederli a colpo d’occhio nella mostra «Artists Making Books», fino al 7 dicembre, all’American Academy in Rome (posto magnifico che merita la visita oltre la mostra) conferma l’impressione. E se l’esposizione (ottimamente curata da Ilaria Puri Purini, Andrew Heiskell e Sebastian Hierl, con Lexi Eberspacher e Johanne Affricot) nasce dal fatto che lo stesso Ruscha ha donato la collezione completa dei suoi libri all’Academy dopo averla visitata nel 2001, il dialogo con i precedenti e i successivi libri d’artista – in un allestimento suggestivo dello studio Supervoid – è assicurato da due collezioni superbe: di Giovanni Aldobrandini e la collezione Consolandi, che prestano alcuni pezzi celebri (e meno) e fanno riflettere (e vedere), su come il libro sia sempre stato per gli artisti uno spazio di sperimentazione, avanguardia, testimonianza, idea, asserzione. Arte, graphic design, editoria sperimentale: la dimensione fisica del libro d’artista viene “fotografata” all’incrocio di più discipline. Ed è emozionante ritrovare “vecchi amici” (l’imbullonato, appunto, qualche testo munariano, e poi, cito alla rinfusa, Natalia Goncharova e Tristan Tzara, Marcel Duchamp e Andy Warhol, John Baldessari e Jenny Holzer, El Lissitzky e Cy Twombly), fino a proposte recentissime, che so, Nico Vascellari e Luca Vitone. In due stanze molto concentrate (e nella biblioteca adiacente), il libro torna a dirci che, con approcci radicali, soluzioni grafiche innovative, semplici e difficilissimi spostamenti di senso, costituisce una magnifica macchina teatrale che mette in scena la libertà di pensiero ed espressione, la poesia e la fantasia, il rigore e la deviazione. E non solo. Per una sua mostra romana del 1973, Jannis Kounellis oltre a pittura, scultura e performance, realizzò un libro (La via del sangue, La Salita; in mostra con un esemplare della collezione Consolandi), che comprendeva sette pagine doppie: in ciascuna, una per giorno della settimana, aveva bruciato un fiammifero in momenti diversi: incollato in ognuna delle pagine, quel fuoco (spento) su carta è un delizioso modo per far vedere non l’aria (Munari) ma lo scorrere del tempo. Ecco: i libri, questi libri, sono una lotta contro il tempo, contro la caducità della nostra vita, una forma di bellissima resistenza, un omaggio, di forma ed essenza precisa, alla nostra capacità di sognare e di illuderci di superare la nostra condizione. Chi fa libri, chi legge libri, chi vive libri, questa cosa la sa.
Fonte: Il Sole 24 Ore