Storia e poesia a Gorizia, dove il confine diventa contatto

Storia e poesia a Gorizia, dove il confine diventa contatto

«Pensavo: ecco, il Carso non è più un inferno, è il verde della speranza; ecco, pensavo, si fa sede pacifica di poesia, invita a raccolta chi si propone di diffondere poesia, cioè fede ed amore». Queste accorate parole pronunciate da Giuseppe Ungaretti nel castello di Gorizia possono essere d’ispirazione per andare alla scoperta di una delle Capitali europee della cultura, in condivisione con Nova Gorica, costruita da zero alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’anno 2025, infatti, rappresenta un palcoscenico irripetibile che comincia proprio con la mostra dedicata al poeta premio Nobel al Museo di Santa Chiara. Ai versi di Ungaretti fanno contemporaneamente da contraltare materico e iconografico le opere esposte nello scenografico ed elegante Palazzo Attems Petzenstein dove “trasloca” la sua mitica factory da New York per l’esposizione Andy Warhol Beyond Borders.

Le mostre fotografiche

A poco più di venti anni dall’abbattimento dell’ultimo muro nel Vecchio Continente, più longevo di quello di Berlino in questa città tra i fiumi Carso e Isonzo (va simbolicamente oltrepassata la passerella pedonale sull’Isonzo che congiunge Straccis con il quartiere di Piedimonte) spira da sempre il vento della storia: lo si comprende lucidamente visitando, presso la casetta confinaria al valico del Rafut, la mostra fotografica e installazione multimediale del progetto Lasciapassare/Prepustnica.

Il cuore della città

Dal dominio dei Conti di Gorizia al governo degli Asburgo passando per la parentesi napoleonica fino all’annessione all’Italia sancita dopo la Prima guerra mondiale e la successiva spartizione con Jugoslavia, poi diventata Slovenia, sancita dai Trattati di Parigi, Gorizia è sempre stata centro nevralgico della geopolitica europea. E il suo castello eretto nell’XI secolo e ricostruito negli anni 30’ del 900 a forma circolare, protetto dai bastioni, dal Medioevo a oggi è il testimone architettonico più fedele dal quale partire, anche per godere il panorama che offre su tutta la città e sulla chiesa di Sant’Ignazio affacciata sulla centrale e nevralgica Piazza della Vittoria: edificata dai gesuiti tra il 1654 ed il 1747, racchiude al suo interno, come in uno scrigno, altari barocchi, pregevoli decorazioni in marmo, begli intarsi lignei e l’affresco del pulpito intitolato “La Gloria di S. Ignazio”, dipinto da quel Christoph Tausch autore anche dell’iconica facciata, apprezzata per le sue torri campanarie sormontate da cupole a cipolla, e le nicchie dentro le quali si sporgono le statue dei santi Ignazio, Giovanni il Battista, Giuseppe. Da lì si può raggiungere a piedi Piazza della Transalpina, altro luogo impregnato di un forte significato: nel 1947 il confine fu tracciato spaccandola a metà e costruendoci in mezzo il muro dell’unica cortina di ferro italiana. Fino al 1954 ci correva il filo spinato, mentre la porta di accesso alla stazione ferroviaria era sbarrata. Ancora oggi, invece, via Rastello è il salotto della città coi portici, i balconi, i cortili interni sovrapposti gli uni agli altri come matrioske dove negozi, osterie e botteghe artigianali non hanno rinunciato a insegne, vetrine e anche arredi originali.

Angoli di verde

Bisognerà aspettare ancora qualche mese, invece, per assistere alla fioritura delle sue mitiche azalee e dei bei rododendri, però la visita al giardino che Luciano Viatori ha disegnato e coltivato su una collina antistante Gorizia va assolutamente programmata. Disposto su tre livelli di terrazzamenti, accoglie le ortensie, le spiree, le peonie e le rose rampicanti, oltre ai cuscini fioriti di phlox e iberis e alle bulbose. In estate, poi, ci sarà un’autentica apoteosi floreale tra agapanthus, astri, gladioli, gigli, dalie. La serpentina lirica e liquida dell’Isonzo, tanto cara a Ungaretti e Umberto Saba, si può già ritrovare, nei pressi della sua suggestiva foce presso l’area naturalistica dell’Isola della Cona, proprio dove il fiume sfocia nell’Adriatico, e i cavallini della Camargue corrono liberi, mentre il tramonto colora di rosso fuoco Punta Barene.

Fonte: Il Sole 24 Ore