Stranezze alla Gogol’ – Il Sole 24 ORE

Stranezze alla Gogol’ – Il Sole 24 ORE

Nonostante la popolarità delle ricette letterarie, si sconsiglia di ripetere quella delle cotolette amate da Gogol’ e raccontate in un libro straordinario, Nikolaj Gogol’ nei ricordi di chi l’ha conosciuto (Quodlibet), tradotto e curato da Giovanni Maccari. Lo scrittore ucraino era un buongustaio e durante un viaggio con alcuni amici, nell’ottobre del 1839, ha insistito perché tenessero lo stomaco vuoto finché fossero arrivati a Toržok, dove si mangiavano delle cotolette impanate squisite. La tappa del viaggio è durata più del previsto per la stanchezza dei cavalli e così si è saltata la cena.
Alla mattina finalmente la comitiva è giunta a Toržok, circa ducentocinquanta chilometri da Mosca, e ha ordinato le leggendarie cotolette. Erano effettivamente buonissime. Senonché nell’impanatura hanno iniziato a emergere lunghi boccoli biondi. La disavventura, su cui Gogol’ ironizzava secondo il suo gusto grottesco, ha generato una crisi d’ilarità tra i suoi compagni di viaggio: “Ridevamo così forte che il cuoco e il nostro servo ci guardavano con gli occhi strabuzzati per lo stupore”, scrive Sergej Aksakov. “Alla fine l’attacco di riso si calmò. Vera ordinò che le scaldassero del brodo mentre noi tre affrontammo virilmente le cotolette, dopo avere scansato tutti i capelli”.

Le stranezze

Quel “virilmente” rende l’idea in modo impagabile. L’uomo deve sacrificarsi, mentre il cuoco si giustifica sostenendo, come previsto da Gogol’, che i capelli fossero “peluzzi” di pollo, mentre era chiaro che fossero i suoi.Gogol’ era amato dagli amici e dal pubblico ma anche vittima di incomprensioni per via delle stranezze che lo caratterizzavano. Le sue opere, benché avessero grande successo, spesso non erano capite e molti le liquidavano semplicemente come comiche. E anche il suo amore per l’Italia era visto con sospetto dai patrioti che pensavano fosse sconveniente per un suddito così illustre dello zar passare tanto tempo a Roma e tornarne pieno di desiderio di tornare (nonché di scorte di pasta e parmigiano per preparare i maccheroni agli amici). A quel tempo un autore non viveva del mercato editoriale, anche se incassava soldi dai libri, dalle rappresentazioni teatrali e dagli articoli sulle riviste letterarie. L’humus borghese in cui fiorirà il genere del romanzo non si era ancora formato in Russia e gli scrittori erano spesso aristocratici. Non sempre appartenere alla nobiltà significava essere abbastanza ricchi da vivere senza lavorare a San Pietroburgo o Mosca. Gogol’ poteva dedicarsi alle lettere senza preoccupazioni materiali grazie ai prestiti e all’ospitalità di famiglie che disponevano di palazzi, servitù e montagne di rubli. Nikolaj Berg, un altro conoscente, racconta come lo scrittore fosse accudito e protetto durante il soggiorno moscovita dal conte Tolstoj, omonimo dello scrittore. Il servitore di Gogol’ era Semën, un ucraino, a lui devotissimo. Nessuno aveva il diritto di disturbarlo, ma proprio questa condizione ideale ha finito per nuocere alla creatività. Gogol’ non amava parlare del proprio lavoro e se gli rivolgevano domande cambiava discorso. Ma in un’occasione, racconta Berg, ha risposto a chi gli chiedeva perché ultimamente scrivesse poco. Gogol’ ha risposto con un ricordo italiano. Mentre era in viaggio tra Genzano e Albano si era fermato in una trattoria popolare piena di polvere e rumore: “In quel periodo stavo scrivendo il primo volume delle Anime morte e non mi separavo mai dal quaderno. Non so perché, nel momento in cui entrai in trattoria mi venne voglia di scrivere. Presi un tavolo, mi sedetti in un angolo, tirai fuori la borsa e nonostante il rotolio delle palle sul biliardo, il baccano incredibile, il via vai del cameriere, il fumo, il caldo soffocante, sprofondai in una specie di sogno e scrissi un capitolo intero senza alzare la testa. Quelle pagine mi sembrano ancora fra le più ispirate che ho mai scritto”.

“Tipico aspetto ucraino”

Una cosa che colpisce della lettura delle testimonianze è quanto Gogol’ fosse visto come ucraino: aveva un “tipico aspetto ucraino”, una “tipica furbizia ucraina”, un “tipico umorismo ucraino”. Quando era su di giri cantava canzonacce ucraine per la via. Timido e pieno di stranezze fin da ragazzo, spesso scostante, poteva essere straordinariamente istrionico e affabile. In particolare se incontrava un ucraino. In altre parole la grande stagione del romanzo russo è nata nel solco tracciato da un “piccolorusso”, come allora venivano chiamati gli ucraini. “Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol’”, pare abbia detto Dostoevskij (avrebbe potuto benissimo dire dal Naso, ma poteva suonare sconveniente).

Il primo libro di successo di Gogol’, Le veglie alla fattoria presso Dikanka, pesca a piene mani nel folklore ucraino, anche se generalmente non viene inserito tra le grandi opere dell’autore. Anche Le anime morte, secondo alcuni studiosi, potrebbero essere ambientate in Ucraina, più precisamente nel governatorato di Poltava, a metà strada circa tra Kiev e Chark’iv, nei luoghi dove è nato e cresciuto lo scrittore. Ma si tratta di una ipotesi poco sensata perché Gogol’ ne fa un luogo paradigmatico di tutto l’impero. Certo è che la sua rivolta contro l’opprimente e castrante modernità rappresentata dalla città di San Pietroburgo trova un contraltare in una società cosacca, libera e atavica, come quella dell’antico passato ucraino, idealizzata e mai esistita per come la pensava. Quando si è licenziato dall’università, dove aveva trovato posto come improbabile docente di storia, grazie a Puškin, ha detto: “Mi sento libero come un cosacco”. Se Gogol’ era considerato un buongustaio, nell’ultima fase della vita si è rifiutato di mangiare o ha avuto problemi intestinali tali da non poterlo fare, e si è spento sotto gli occhi impotenti degli amici e dei dottori che tentavano di tutto per sottrarlo alla morte. Compreso tormentarlo applicandogli sanguisughe sul naso. L’ipotesi della anoressia finale è avvalorata dalla deriva mistica degli ultimi anni. Al ritorno da un viaggio deludente in Terra Santa, Gogol’ era in crisi creativa perché, sull’onda teologica terminale, si era messo in testa di dare un seguito a Le anime m orte secondo una partitura dantesca. Aveva descritto l’inferno, restavano da scrivere il purgatorio e il paradiso. Ma il medioevo era finito da un pezzo persino in Russia e la sua vena di satira devastante poco si adattava al progetto. Le poche pagine del secondo libro sopravvissute alla stufa lo confermano. La carriera di uno dei più grandi scrittori è iniziata buttando un libro nella stufa – tutte le copie di un pessimo romanzo storico alla maniera di Walter Scott – ed è finita allo stesso modo.

Per finire con un pensiero più allegro, meglio ricordarlo mentre prepara la žžënka, un leggendario e ormai tramontato cocktail conviviale fatto con rum, cognac e una zolletta di zucchero imbevuta nell’alcol e incendiata. Gogol’ era considerato un maestro e la preparava spesso per accendere la conversazione e scatenare l’allegria dopo pranzo.

Fonte: Il Sole 24 Ore