Sud Sudan, coprifuoco alle 18 dopo le violenze contro i sudanesi a Juba

Sud Sudan, coprifuoco alle 18 dopo le violenze contro i sudanesi a Juba

Sud Sudan – Le autorità del Sud Sudan hanno imposto un coprifuoco nazionale alle 18 alle 6 di mattina, fino a data da destinarsi, in risposta alla spirale di violenze e saccheggi contro la popolazione sudanese esplosa a Juba e dilagata in altre località maggiori dello Stato saheliano. Il presidente Salva Kiir, in carica dall’indipendenza del 2011, ha invitato alla calma e chiesto lo stop immediato delle aggressioni.

Secondo conteggi diffusi dai media si sarebbero registrate 16 vittime già nelle prime ondate di assalti il 17 gennaio, in una climax originata nella capitale e alimentata dagli appelli diffusi sui social network. Gli attacchi a cittadini ed esercizi commerciali posseduti da sudanesi sono scattati dopo la notizia dell’uccisione di un numero imprecisato di sud sudanesi nella città di Wad Madan, nella regione di al Jazira, in un attacco imputato all’esercito regolare sudanese: le Sudanese Armed Forces, le forzen guidate dal generale al-Buhran in conflitto dall’aprile del 2023 con i paramilitari delle Rapid support forces.

La «rappresaglia» anti-sudanese e il rischio escalation

Il Sud Sudan, il più giovane Paese dell’Africa e del mondo, si è scisso dal “vecchio” Sudan con un referendum plebiscitario nel 2011: il suggello di un accordo di pace siglato nel 2005 dopo decenni di conflitto fra Khartoum e la sua regione meridionale. Dopo il crescendo dei primi anni e le attese di prosperità, dovute soprattutto alla sua ricchezza petrolifera, il Paese è sprofondato in una guerra civile deflagrata nel 2013 fra le fazioni a sostegno del presidente Kiir e del suo vice Riek Machar. L’accordo di pace del 2018 ha dato il via a un processo di transizione scandito dalla formaizone di un governo di unità capeggiato sempre da Kiir e Machar e destinato a traghettare il Paese al voto nel 2026, anche se l’atmosfera resta tesa nell’intreccio fra crisi politica, economica e sicuritaria di Juba.

Gli straschichi della guerra civile interna si sono aggravati con lo scoppio del conflitto in Sudan e le sua ricadute economiche e umanitarie. Il Sud Sudan si è ritrovato costretto a congelare per circa un anno produzione ed esportazione di petrolio “grazie” ai danni inflitti da esercito regolare e paramilitari sudanesi all’oledotto che trasporta l’oro nero fino scalo portuale di Port Sudan, sul Mar Rosso, un contraccolpo poderoso su una delle principali fonte di entrate di un’economia sciovolata da ambizioni di crescita record alla crisi che attanaglia il Paese. Ora l’attività è ripresa a un ritmo ben più timido rispetto al passato, con 90mila barili al giorno contro i 350mila-400mila dei picchi produttivi prima dello scoppio della guerra a Khartoum.

 La seconda ricaduta è umanitaria, con un afflusso di migranti dal Sudan che si aggira – stime Onu – intorno ai 1.100 ingressi al giorno. A fine 2024 le stesse Nazioni unite stimavano un esodo sopra le 800mila persone in circa un anno e mezzo di conflitto, esasperando un clima che ha riacceso rancori tutt’altro che passati fra i sud sudanese e gli ex connazionali di «Khartoum».

Fonte: Il Sole 24 Ore