Tengono i conti mafrena la crescita

Tengono i conti mafrena la crescita

Bene il deficit al 3,4% che appare sotto controllo tanto da far ritenere che tra il 2006 e il 2027 si possa tornare sotto il 3% del Pil, consentendo in tal modo di uscire dalla procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. Bene, anzi si potrebbe dire un caloroso bentornato all’avanzo primario (+0,4% rispetto al -3,6% del 2023), indicatore chiave che registra il saldo tra entrate e uscite al netto della spesa per interessi, scomparso da anni dai radar dei conti pubblici. Massima attenzione alla dinamica del debito che nel 2024 si è attestato al 135,3% del Pil e che viaggia verso i 3mila miliardi. La fotografia scattata dall’Istat sulla crescita del 2024 (+0,7%) e sui conti pubblici impone di ricalibrare l’effetto della frenata del Pil, in previsione della Relazione annuale attesa per fine aprile che registrerà i progressi compiuti finora nell’attuazione del Piano strutturale di Bilancio. Con l’annuncio di nuovi dazi rivolti all’Europa da parte degli Stati Uniti – ha ammesso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti – e con gli sviluppi della guerra in Ucraina “si entra in una fase totalmente nuova”. Finora, gli impegni assunti in termini di riforme e investimenti hanno consentito al Governo di chiedere e ottenere l’estensione a sette anni del periodo di aggiustamento. Un programma che vede il cumularsi di impegni fino al 2029, che in alcuni casi confermano o estendono le misure contenute nel Pnrr, in scadenza alla metà del prossimo anno, in altri aprono la strada a nuovi interventi. Al momento, secondo quanto previsto dal PSB, a fronte di un Pil all’1,2% (l’1% nel 2024), il debito (che continua a scontare l’impatto dei bonus edilizi) dovrebbe attestarsi a quota 136,9% nell’anno in corso. Nel 2026, ulteriore incremento al 137,8% poi la lenta discesa fino al 134,9% del 2029. Fermo restando l’obbligo di perseguire nella fase di contenimento del deficit, a valere sull’indicatore principale della nuova disciplina di bilancio europea, la spesa primaria netta (si tratta di circa 12 miliardi l’anno) l’interrogativo che ora si pone è in che misura la tabella di marcia del percorso di riduzione del debito potrà essere mantenuta. Le prospettive di crescita per il 2025 fanno temere un drastico ridimensionamento rispetto all’1,2% fissato a settembre dello scorso anno. Non potrebbe essere altrimenti con la produzione industriale ferma da 23 mesi consecutivi. Al momento prevalgono i motivi di incertezza dettati dall’evolversi del contesto geo-politico, dall’impatto sull’intera economia europea dei dazi al 25% annunciati da Donald Trump.«La nuova governance economica europea – fa sapere Giorgetti – è stata scritta in un’epoca storica che merita ora un aggiornamento». Si pensa a regole necessariamente «più flessibili da applicare in un contesto macroeconomico generale che è cambiato». Gli spazi di bilancio a disposizione restano esigui. Lo dimostra la faticosa ricerca di adeguate coperture contro il caro bollette. Viene in soccorso la minore spesa per interessi, grazie al calo di tassi e spread (17,1 miliardi di minore costo degli oneri sul debito per il 2025-29, secondo i calcoli dell’Upb), nonché il buon andamento delle entrate già registrato lo scorso anno. Sostenere la crescita con pochi margini di bilancio a disposizione sarà comunque complicato. Potrebbe farne le spese la duplice spinta proveniente da un lato dalla Lega, dall’altro da Forza Italia perché si dia vita a nuova rottamazione delle cartelle esattoriali estesa a tutto il 2023 (che costerebbe 5 miliardi), oppure in alternativa la riduzione dell’Irpef dal 35 al 33% per i redditi fino a 60mila euro.

Fonte: Il Sole 24 Ore