Terremoti, -12% di Pil e +27% di disoccupazione. Musumeci: Piano nazionale da 250 milioni

Terremoti, -12% di Pil e +27% di disoccupazione. Musumeci: Piano nazionale da 250 milioni

L’altra faccia dei terremoti non è meno feroce di quella che sconquassa i territori. E si abbatte sull’economia con la stessa violenza con cui devasta interi paesi, polverizza le case e riduce in ginocchio la popolazione. Per questo la parola d’ordine è sempre la stessa: prevenzione e ancora prevenzione. Lo dicono a gran voce gli esperti e oggi sono tornati a sottolinearlo con una voce sola la Fondazione Inarcassa, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri e il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori nel corso della settima Giornata nazionale della prevenzione sismica alla quale hanno partecipato il ministro della protezione civile Nello Musumeci che ha annunciato il varo di un Piano nazionale per la prevenzione sismica. “Avrà una dotazione iniziale di 250 milioni di euro – ha detto il ministro a margine dell’evento – ed è destinato a durare almeno 10 anni, obiettivi fissi, privilegiamo le zone particolarmente a rischio e naturalmente le infrastrutture pubbliche: dobiamo iniziare da scuole, ospedali e dalle strutture strategiche in caso di calamità”.

Gli stanziamenti

Ma partiamo dai numeri: secondo l’analisi, dal 1968, anno del terremoto della Valle del Belice, il nostro paese ha stanziato oltre 135 miliardi di euro, di cui 20 andranno spesi da qui al 2047, per far fronte ai danni provocati dagli 8 terremoti distruttivi che hanno colpito la penisola negli ultimi 60 anni. “Un’azione importante e necessaria che, però, non ripara dagli effetti secondari dei terremoti e che non mette in sicurezza il patrimonio immobiliare italiano estremamente vulnerabile”, spiegano i promotori. Oggi in Italia sono circa 18 milioni gli immobili a uso residenziale a rischio sismico e che necessiterebbero di interventi immediati, una grande opera di manutenzione straordinaria che richiederebbe una spesa di 219 miliardi di euro, tenendo conto delle diverse aliquote a seconda del rischio sismico e delle agevolazioni del Sismabonus, spiegano ancora. E dunque “servirebbero, quindi, poco più di 7 miliardi di euro all’anno per 30 anni per mettere in sicurezza il nostro patrimonio immobiliare e per mitigare il rischio degli effetti secondari che un evento sismico potrebbe portare con sé”.

Il Pil

Ma quali sono i costi indiretti dei terremoti sui territori? Secondo uno studio presentato nel corso dell’evento ai danni pagati dalle popolazioni, dagli immobili si vanno ad aggiungere vere e proprie crisi economiche locali che impattano sullo sviluppo e sul benessere locale. L’analisi ha preso in esame 3 terremoti distruttivi – Valle del Belice, Friuli Venezia Giulia e Irpinia – e per ciascuno ha analizzato 4 parametri: effetti sul Pil, sull’occupazione, sulla demografia e sui beni culturali. “Quello che emerge è che le ferite aperte dai sismi vanno ben oltre i danni riscontrabili nell’immediato, ma si insinuano nel tessuto economico dei territori penalizzandone la crescita per gli anni a venire”, spiegano i curatori. Ad esempio, l’analisi mostra come il Pil dei comuni colpiti dagli eventi sia in calo per tutte le zone, Belice -2,8% e Irpinia -12%. Situazione diversa per il Friuli, dove l’effetto di ammodernamento della ricostruzione, il cosidetto “building back better”, consentì il passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale con un conseguente aumento del Pil del 20%.

L’occupazione

I terremoti hanno effetti catastrofici anche sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione in Belice e in Irpinia è arrivato rispettivamente a 25,50% e 27,30% ben oltre la media italiana oggi stimata al 5,8% (fatta eccezione per il Friuli che si attesta su 4,6%). Per quanto riguarda lo spopolamento, la presenza della popolazione residente è arrivata a toccare nel Belice un -10% e in Irpinia un -8,6%. Infine sulla perdita dei beni culturali, si registrano percentuali altissime, 100% nel Belice e 70% in Irpinia.

Il patrimonio edilizio italiano

La vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano si evince anche dai numeri presentati oggi nel corso dell’evento: 12 milioni di edifici utilizzati per uso residenziale sono stati costruiti prima del 1971, il 57% del totale, e meno del 3% di tutti gli immobili censiti è stato costruito a partire dal 2008, “momento in cui le norme tecniche per le costruzioni hanno iniziato a focalizzarsi considerevolmente sulla prevenzione sismica”, spiegano gli organizzatori. “Se poi andiamo a guardare lo stato di salute di questi edifici, complessivamente solo il 32% dell’intero costruito a scopo abitativo si trova in ottime condizioni (percentuale che scende intorno al 20% se si considerano solo gli immobili costruiti prima del 1960)”, concludono. “Si intuisce che sarebbe più opportuno mitigare e prevenire, intervenendo almeno sulla quota parte di costruito più ad alto rischio (per criticità nello stato di conservazione e sicurezza statica o per localizzazione nelle zone a più elevata probabilità sismica)” commenta il presidente della Fondazione Inarcassa, Andrea De Maio. Per Massimo Crusi, Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori “in un paese fragile come il nostro ripetutamente colpito da catastrofi naturali, cui si aggiunge il problema di un patrimonio edilizio e infrastrutturale sempre più caratterizzato da obsolescenza, va assolutamente alimentata la cultura della prevenzione e della manutenzione”. “L’ammontare delle spese sostenute dallo Stato dal 1968 ad oggi per gli interventi in emergenza e per la ricostruzione è molto consistente. Da tempo sosteniamo che sarebbe molto più utile intervenire in modo capillare e ben calibrato, a seconda delle caratteristiche e livelli di rischio dei singoli territori del Paese, con opere per la mitigazione del rischio sismico e la messa in sicurezza degli edifici”, afferma Angelo Domenico Perrini, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri,

Fonte: Il Sole 24 Ore