Terreni agricoli, può comprare solo chi ha già grandi proprietà
Un affare per pochi. Compravendite ferme e prezzi in aumento confermano le difficoltà di accesso alla terra in Italia, con le operazioni concentrate nelle mani di poche grandi aziende già strutturate, relative più a strategie di riassetto fondiario che al primo insediamento di nuovi imprenditori, con buona pace degli incentivi europei. Questi (contributi a fondo perduto fino a 80mila euro nell’ambito dei piani regionali di sviluppo rurale) servono infatti come ormai noto più a incentivare il ricambio generazionale all’interno della stessa azienda piuttosto che a favorire l’ingresso di nuove figure imprenditoriali in agricoltura. Visto anche lo scenario di mercato con costi in continuo rialzo, prezzi all’origine poco remunerativi e soprattutto le grandi incertezze dovute alla crisi climatica e al progressivo smantellamento dei premi della Politica agricola comune. A meno di non avere spalle abbastanza larghe con economie di scala in grado di gestire il rischio.
Il mercato secondo Crea
La fotografia del mercato fondiario nazionale pubblicata dal Crea conferma la tendenza in atto da anni, con un aumento medio contenuto (+0,9%) del prezzo dei terreni agricoli e un numero di compravendite sostanzialmente invariato alla fine dello scorso anno. L’incertezza della situazione internazionale e l’estrema variabilità climatica hanno scoraggiato gli investitori, a crescere è infatti solo la domanda di terreni vocati a produzioni di qualità; situazione opposta per i terreni marginali, specie nelle aree interne, dove l’offerta non trova riscontro sul mercato e le opportunità offerte dalla nuova Pac non hanno sortito effetti visibili.
A fronte di una media nazionale di 28.800 euro, in termini assoluti i valori per ettaro continuano a presentare significative differenze a livello geografico, con il picco di 47mila euro pagati mediamente per un ettaro nel Nord-Est, importo invariato nell’ultimo anno, seguito dal Nord Ovest con circa 37.400 euro (+3%), e valori decisamente inferiori nell’ordine al Centro (15.400 euro, +0,7%), Sud (13.700 euro, +1,5%) e isole (8.900, +1,1%). In generale gli scambi sono concentrati nelle aree agricole con maggiore reddittività delle colture, in particolare nelle zone viticole e frutticole del Nord.
Il primato dei vigneti
Tra i singoli comparti produttivi il primato assoluto dei vigneti con oltre 58mila euro a ettaro di media nazionale (oltre 80 tenendo conto degli impianti) è avvicinato solo da frutteti e agrumeti a quota 54.600 euro. Seguono nell’ordine i seminativi con 24.600 euro di media (valore cresciuto dell’1,4% nel 2023), oliveti (16.200) pascoli e prati permanenti (10.200).
«I valori di mercato in realtà sono più alti perché il rapporto utilizza un metodo di valutazione dei terreni “nudi” senza tener conto degli impianti arborei, quindi possiamo considerarli sottostimati rispetto alle transazioni reali – spiega Andrea Arzeni, ricercatore del Crea Politiche e bioeconomia che ha curato il rapporto con il supporto del Consiglio dell’ordine dei dottori agronomi e forestali –. Gli acquirenti sono in prevalenza imprenditori agricoli che intendono ampliare le superfici da coltivare. Sul mercato però sono presenti anche operatori extra-agricoli e in generale privati alla ricerca di investimenti a basso rischio anche se poco remunerativi, mentre sta crescendo l’interesse per l’acquisto legato alla realizzazione di attività extra-agricole come la produzione di energie rinnovabili, che resta però condizionato dagli incentivi. Sul fronte delle vendite sono gli agricoltori in fase di cessazione delle attività i soggetti più attivi seguiti dai proprietari terrieri privati, spesso eredi di appezzamenti che non hanno interesse a coltivare. Le transazioni immobiliari sono avvenute principalmente attraverso un professionista di settore, ma è ancora diffuso l’accordo tra le parti senza l’intervento di intermediari».
Fonte: Il Sole 24 Ore