Tessile e moda in difficoltà, il rischio default sale al 3,3%

Tessile e moda in difficoltà, il rischio default sale al 3,3%

La crisi congiunturale che da ormai diversi trimestri caratterizza molte imprese italiane del tessile e dell’abbigliamento, costrette a ridurre la produzione a causa della debolezza della domanda o dei crescenti costi energetici, comincia a incidere anche sul fronte del credito. Secondo l’ultimo Osservatorio Crif sulle imprese, che prende in analisi le sole società di capitali, nel primo semestre del 2024 il tasso di default è aumentato al 3,3%, in aumento dello 0,4% rispetto a dicembre 2023, attestandosi su un livello superiore al dato medio degli altri settori manifatturieri, che si ferma al 2,5%.

Il dettaglio dei sotto-settori

In particolare, guardando ai sotto-settori che compongono la filiera, l’indice di rischiosità creditizia è elevato soprattutto per le imprese del segmento pelli, cuoio e calzature, che registra inoltre la maggiore crescita del tasso di default, passando dal 3,5% di fine 2023 al 4,4% del primo semestre 2024. Il comparto abbigliamento registra invece un tasso di default del 3,3% (era a 3,1 a fine 2023), mentre va un po’ meglio per il settore tessitura e prodotti tessili, con un indice sotto la media nazionale, a 2,1%, comunque in crescita rispetto all’1,8% del semestre precedente.

Anche per quanto riguarda i prestiti erogati dalle banche, Crif registra un calo dell’8% nei primi nove mesi dello scorso anno: un calo imputabile in parte al rallentamento degli investimenti da parte delle imprese stesse, in parte a una maggiore attenzione da parte degli istituti di credito, all’aumentare della rischiosità creditizia, soprattutto nei confronti delle realtà più piccole e meno strutturate.

Situazione in peggioramento

L’analisi dei bilanci 2023 (gli ultimi disponibili) mette in luce anche un deterioramento delle metriche creditizie che, osservano gli analisti di Crif, anticipano l’evoluzione della rischiosità riscontrata nel 2024. «Ci aspettiamo un ulteriore peggioramento della situazione dall’analisi dei bilanci dello scorso anno – ammette Luca D’Amico, ceo di Crif Ratings –. Riteniamo infatti che si tratti di una crisi legata non solo alla congiuntura economica attuale, ma a una difficoltà strutturale di questi settori, evidenziata nel periodo del Covid e soprattutto in quello immediatamente successivo, quando la ripresa era stata trainata soprattutto da un incremento dei prezzi di vendita finali e da un forte dinamismo del mercato asiatico. Oggi, la riduzione del potere d’acquisto ha frenato le vendite a livello globale, e inoltre i consumatori asiatici sembrano più orientati ad acquistare prodotti locali». A questi aspetti se vogliamo congiunturali, si aggiunge il fatto che il comportamento d’acquisto degli utenti finali sta cambiando, nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale, che comporta anche una minore rotazione dei guardaroba e quindi, per le aziende, dei magazzini.

Le strategie per la ripresa

Per vedere un’inversione tendenza, sarà necessario attendere una ripresa in generale del trend macroeconomico, a cui deve però associarsi, secondo D’Amico, anche «un nuovo modello di business e di pricing delle aziende del settore, che tenga conto di una maggiore sensibilità ala tema prezzo da parte dei consumatori, che ormai interessa anche il segmento del lusso, o almeno del lusso accessibile».

Fonte: Il Sole 24 Ore