Tfr statali, le simulazioni: così si perdono da 17mila a 41mila euro

Cgil nazionale, Fp, Flc e Spi in una nota congiunta lanciano l’allarme. Il differimento del pagamento del Trattamento di fine servizio (Tfs) e del Trattamento di fine rapporto (Tfr) ha causato e continua a causare ai dipendenti pubblici pesanti perdite economiche, che complessivamente possono arrivare a cifre che vanno dai 17 mila ai 41mila euro.

Le simulazioni del sindacato

Secondo le simulazioni effettuate dal sindacato, infatti, i lavoratori che hanno cessato nel 2022 per pensionamento anticipato (42 anni e 10 mesi, uno in meno per le donne), con una retribuzione di 30.000 euro, a fronte di un Tfs nominale di 86.000 euro, subiscono una perdita complessiva di 17.958 euro. Questa perdita è il risultato di una doppia penalizzazione: da un lato, l’inflazione ha ridotto il valore reale delle somme percepite tra la cessazione e la liquidazione del Tfs; dall’altro, il mancato rendimento che questi importi avrebbero potuto generare se fossero stati investiti al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Le perdite aumentano proporzionalmente con l’aumento della retribuzione, arrivando a 25.310 euro per chi percepiva uno stipendio di 40.000 euro e a 41.290 euro per chi guadagnava 60.000 euro.

Il report prende inconsiderazione tre casi di soggetti cessati al 30 novembre 2022 per pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi, con retribuzioni diverse alla cessazione: 30mila euro, 40mila euro e 60mila euro.

Prima ipotesi: retribuzione alla cessazione di 30mila euro (Tfs maturato: 86mila euro)

La prima rata a gennaio 2025 dopo i primi 24 mesi dalla cessazione del servizio (30 novembre 2022), importo pari a 50mila euro (trascorsi 25 mesi). La seconda rata a gennaio 2026 dopo 12 mesi dalla prima rata, importo pari a 36mila euro. Qundi, osserva l’indagine, a fronte di una cessazione dell’attività lavorativa al 30 novembre 2022 viene incassato un Tfs pari a 86.000, su due rate, la prima a gennaio 2025 e l’altra a gennaio 2026. Considerando l’inflazione che si è determinata nel biennio 2023/2024, rispettivamente 8,1% e 5,4%, che sono da considerarsi cumulate, il sindacato stima gli effetti, considerando per il 2024 (e gli anni successivi) un’inflazione pari all’1,5%. Prima rata gennaio 2025, importo nominale 50mila euro; inflazione cumulata 2023-2024: 13,98 per cento. Questo, osserva ancora il sindacato, significa che, nel biennio tra la cessazione dal servizio e il pagamento della prima rata, l’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto del denaro di quasi il 14%. L’importo reale, che tiene conto dell’inflazione, si riduce a 43.010 €. Questo indica che il dipendente percepirà formalmente 50.000 €, ma il valore effettivo del denaro sarà inferiore di circa 6.990€ rispetto a quanto sarebbe stato senza l’inflazione. Si passa poi alla seconda rata, gennaio 2026. Importo nominale 36mila euro, inflazione cumulata 2023-2025: 15,75. In questo caso, oltre all’inflazione del 2022 e 2023, si aggiunge anche quella stimata per il 2024 (1,5%), portando il tasso di inflazione cumulata al 15,75%. L’importo effettivo della seconda rata, in termini di potere d’acquisto, si riduce a 30.330 euro. Il dipendente perderà così circa 5.670 euro in termini reali rispetto al valore nominale. Su un importo nominale di Tfs pari a 86.000 euro, la perdita complessiva in termini di potere d’acquisto dovuta all’inflazione determina un Tfs reale pari a 73.340 euro con una perdita di 12.660 euro.

Seconda ipotesi: retribuzione alla cessazione di 40mila euro (Tfs maturato: 114.667 euro)

Per un importo nominale di 114.667 euro, la perdita complessiva in termini di potere d’acquisto dovuta al differimento e all’inflazione è di 17.415 euro, portando l’importo reale del Tfs a 97.252 euro.

Fonte: Il Sole 24 Ore