
Thomas Schütte e Tatiana Trouvè a Venezia
A portare un tocco di levità interviene il repertorio delle opere grafiche, in un cambio di scala che riporta dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, ai disegni, agli acquerelli, le lacche, molti dei quali non erano mai usciti dallo studio dell’artista. Sono la parte più intima del lavoro di Schütte, quella più giocosa e fantasiosa, a tratti quasi infantile, come se nel disegno l’artista riuscisse a ritagliarsi uno spazio privato, avulso dal mondo.
Le strane cose di Trouvè
L’universo di Tatiana Trouvé, invitata ad animare con le proprie opere gli spazi di Palazzo Grassi, narra la storia dell’artista “in assenza”. La figura umana è la grande assente e al tempo stesso l’assoluta protagonista della mostra “Le strane cose della vita”. Trouvé ha trasformato il grandioso interno di Palazzo Grassi nel suo personalissimo microcosmo, un ecosistema (come lei stessa lo definisce) fatto di oggetti raccolti nelle città in cui ha vissuto, ricordi, immagini oniriche, spazi veri o solo immaginati in cui invita il pubblico a passeggiare, a muoversi, tra terra e cielo, navigando nel grande “Atlante del disorientamento”. A scardinare le nostre certezze ci pensa subito l’opera site-specific che ricopre il pavimento dell’androne di Palazzo Grassi: un tappeto di asfalto costellato di stelle fatte di tombini, piastre di metallo, calchi, coperchi di tubature recuperati tra Parigi, Londra, Venezia, Roma New York: testimonianze di quotidianità urbana che viste dall’alto creano una mappa cosmica.
Sempre in bilico tra passato vissuto e futuro immaginato, Tatiana Trouvé si muove creando grandi nature morte tridimensionali, studi d’artista zeppi di oggetti, collane simili a grandi rosari che snocciolano piccoli cimeli raccolti nelle città in cui l’artista ha abitato, e ancora muri, cancelli, porte, in un continuo rito di passaggio che ha preso forma per volontà dell’artista in stretta collaborazione con i curatori Caroline Bourgeois e James Lingwood.
C’è la serie dei Guardians, la più poetica: sedie o panchine vuote su cui sono stati abbandonati vari oggetti personali, un paio di scarpe, vestiti, un cuscino, una borsa, una coperta, dei libri… tutti di marmo, di onice, oppure fusi in bronzo, in ottone, impermeabili alla vita eppure del tutto umani.
Ci sono stanze inaccessibili che si possono vedere solo attraverso piccole porte di vetro. C’è la serie di prime pagine di quotidiani di tutto il mondo raccolte “From March to May, 2020” e usate dall’artista come base per i suoi disegni durante il lockdown. E ci sono le serie dei grandi disegni, che creano nuovi spazi disorientanti. In tutte le sale della mostra l’elemento umano è totalmente assente ma sempre potentemente sottinteso, come una costante invariabile: l’essenza dell’artista.
Fonte: Il Sole 24 Ore