«Tolga il ginocchio dal mio collo»: la frase detta al capo non è un’accusa di razzismo

«Tolga il ginocchio dal mio collo»: la frase detta al capo non è un’accusa di razzismo

«Caro Professore per favore tolga il suo ginocchio dal mio collo, come lei dovrei poter respirare anche io». Questa frase, contenuta in una mail inviata al primario, e per conoscenza a tutti i colleghi, era costata a un cardiochirurgo siriano la risoluzione del rapporto di lavoro. Per la Cassazione, che accoglie il ricorso dello specialista contro la decisione della Corte d’Appello, rientra invece nel diritto di critica.

Ad avviso della corte territoriale, infatti, il riferimento a quanto accaduto a George Floydconteneva un’implicita accusa di razzismo, verso il responsabile del reparto di cardiochirurgia, al quale lo scritto era indirizzato, con l’invito a mettere fine a una condotta discriminatoria nei confronti del medico. La “denuncia” via mail riguardava l’estromissione quasi totale dalla sala operatoria dall’arrivo del nuovo primario, malgrado un lavoro svolto in un noto ospedale milanese per circa 20 anni, senza mai un rilievo di alcun tipo.

Il mobbing violenza invisibile

Un’esclusione per la quale il chirurgo chiedeva le ragioni, chiamando come testimoni della verità dei fatti i colleghi, che in lui avevano investito affidandogli dei pazienti nella consapevolezza della sua abilità operatoria. Il camice bianco, aveva fatto presente che il mobbing, in una società sviluppata come la nostra, è rimasto l’unica violenza invisibile contro l’uomo.

Un’emarginazione per il medico nota a tutti, per la quale faceva delle ipotesi: «Se la mia colpa è stata la richiesta di un inquadramento adeguato, dato dalla mia esperienza di 27 anni di chirurgia in vari ambiti, questa non deve essere considerata una colpa, tutt’altro, è una richiesta di uguaglianza, per arrivare a essere trattato come altri colleghi, senza che ci sia a mio discapito discriminazione alcuna. L’uguaglianza è nella mia coscienza, per quella sono emigrato, ho sofferto e per questo ho scelto la società che amo e la terra dove morirò, l’Italia caro Professore».

La Corte d’Appello, a differenza del Tribunale che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa, aveva negato che lo scritto, condiviso con tutti i colleghi, rientrasse nei limiti della continenza. Tuttavia avevano considerato la sanzione espulsiva sproporzionata, dichiarando comunque risolto il rapporto di lavoro, ma con l’applicazione della tutela indennitaria prevista dall’articolo 18.

Fonte: Il Sole 24 Ore