Top manager, balzo dei milionari. Al ceo in media 2,6 milioni di euro
Nelle società quotate il 2023 ha segnato un balzo dei top manager milionari. Il compenso medio totale degli amministratori delegati ha infatti raggiunto i 2,652 milioni di euro, in crescita dell’8% rispetto all’anno precedente, nonostante ci sia stata una riduzione del 10% della componente fissa, scesa in media a 846mila euro. Il dato è contenuto nel Board index 2024 di Spencer Stuart che ha analizzato i consigli di amministrazione delle prime 100 società quotate italiane per capitalizzazione, incluse le maggiori dell’indice FTSE MIB e che conferma come il tema centrale nei prossimi anni sarà quello della Governance la cui solidità è determinante per assicurare prosperità nel medio lungo termine, ma anche per garantire la successione. «Siamo in una situazione interessante. Sulla Governance delle società quotate si sono fatti passi avanti verso una sempre maggiore consapevolezza della necessità di creare valore per tutti i portatori di interesse, in linea con il capitalismo degli stakeholder, tant’è che molti consigli di amministrazione adesso guardano con più attenzione rispetto al passato alle competenze necessarie per sviluppare il business». Giovanna Gallì, partner e director di Spencer Stuart, guarda con un certo ottimismo all’evoluzione della Governance, a partire dai dati emersi nel Board index 2024, in una fase in cui stiamo assistendo a un’espansione delle dimensioni della Borsa italiana che nel 2023 contava 429 società quotate e una capitalizzazione di 761 miliardi, in crescita del 22% rispetto al 2022. Il peso del nostro mercato azionario rimane tuttavia limitato (3,1% del paniere europeo e 0,5% di quello mondiale).
L’internazionalizzazione dei compensi
Tra gli elementi emersi c’è sicuramente l’evoluzione dei compensi che accresce l’attrattività delle società del nostro Paese. La media dei compensi dei ceo che supera 2,6 milioni di euro è il segnale che le politiche retributive si stanno evolvendo verso standard internazionali, anche con l’obiettivo di diventare più attrattive sia all’interno che all’esterno del Paese. Prendendo le società FTSE MIB, il compenso medio sale a 3,8 milioni di euro, con il 78% degli amministratori delegati che ha un compenso superiore al milione di euro e il 24%, quindi quasi uno su quattro, che supera i 4 milioni. Considerando i presidenti, il compenso medio totale ammonta a 1,2 milioni di euro, in progressiva crescita negli ultimi 5 anni. Il dato relativo ai compensi dei presidenti presenta la forchetta più vasta in assoluto, andando da un valore minimo simbolico di 7mila euro a 21 milioni di euro per un presidente e amministratore delegato. Per i consiglieri il compenso totale medio è di 168mila euro. Netta la differenza tra i “non esecutivi” che in media percepiscono 105mila euro e gli esecutivi che ne percepiscono 956mila. A proposito di internazionalizzazione i consiglieri di nazionalità non italiana sono 105, ossia il 9,6% del totale, mentre cresce l’esperienza internazionale dei consiglieri italiani: il 39% ha infatti fatto significative esperienze in contesti globali.
Obiettivi ESG nei sistemi di incentivazione
Le maggiori novità riguardano i sistemi di incentivazione: 91 società hanno infatti adottato sistemi annuali e 84 piani di medio-lungo termine: in entrambi i casi il dato è in significativo aumento rispetto al 2022, quando i piani annuali erano 88 e quelli di medio lungo termine 70. Tra i parametri che ormai sono stabilmente presenti e integrati nei sistemi di incentivazione ci sono gli obiettivi ESG: 66 società li hanno infatti inclusi nei piani di lungo termine, con un peso medio del 20%. Gli indicatori vanno dall’inclusione in indici di sostenibilità alla diversity di genere, dalla sicurezza sul lavoro alla transizione energetica.
Il nodo dei piani di successione
Se è proprio grazie all’evoluzione degli ultimi anni che nei board sono entrate anche competenze più legate all’innovazione tecnologica, alla sicurezza informatica, all’intelligenza artificiale, questo però non basta a cancellare le criticità e i fattori di debolezza, il primo dei quali è sicuramente legato ai piani di successione. «Parliamo sempre del ruolo del board legato ai controlli e alle responsabilità amministrative, ma non possiamo non tenere conto del fatto che nel ruolo degli amministratori, come del resto dice anche il codice di autodisciplina di borsa, c’è la creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio lungo periodo – interpreta Gallì -. Questo vuol dire che il Cda ha un compito importante nell’esaminazione e nell’approvazione dei piani strategici e ha una grande responsabilità anche nei piani di successione. Ciò che crea maggiore vulnerabilità per le società è non avere visibilità e trasparenza su chi guida l’azienda». I numeri emersi nel nostro Paese su questo tema fanno però scendere l’ottimismo e semmai emergere il grande lavoro che abbiamo davanti. I piani strutturati restano una pratica poco diffusa, soprattutto per la forte resistenza culturale che porta i Consigli a rinviare il tema fino all’emergenza effettiva: solo 59 società delle 100 considerate ha definito un piano che riguarda l’amministratore delegato e appena 16 presentano un piano strutturato che traguarda il medio-lungo termine. Delle società con un piano di successione, la maggioranza (43) ha previsto solo un “contingency plan” per situazioni di emergenza. Significativo il dato delle società che dichiarano di non avere alcun piano: sono 30, mentre 11 non forniscono informazioni sul tema. Però «la successione non può essere solo un tema di emergenza , ma è un percorso che l’azienda deve intraprendere e sviluppare e che riguarda non solo le figure apicali, ma anche i ruoli di leadership e di guida dei comitati», afferma Gallì. La situazione è ancora più critica nelle società più piccole e in quelle controllate da famiglie.
Nei family business scelte in famiglia e meno consiglieri indipendenti
Nei Family Business il ceo arriva dalla famiglia di riferimento in quasi la metà dei casi (51%) e spesso ricopre anche la carica di Presidente. Nel caso della carica del solo Presidente questa quota sale fino al 79%: il 76% però mantiene deleghe esecutive. La peculiarità dei family business è l’evidente concentrazione del potere decisionale in figure che fanno riferimento alla famiglia, secondo quanto emerge dall’analisi delle società familiari nel Board index di Spencer Stuart. Stiamo parlando del 57% delle 100 società analizzate, prevalentemente nel settore industriale e dei beni di consumo. Da notare anche che la tenure media del vertice è di 9,3 anni, molto superiore a quella del campione totale (7,2 anni): questo da un lato fa immaginare una maggiore stabilità, ma dall’altro anche possibili criticità nel ricambio. Dall’analisi emergono caratteristiche distintive di governance: la dimensione media dei consigli di amministrazione è leggermente inferiore (10,4 membri contro i 10,9 del campione), con una maggior presenza di consiglieri esecutivi (2,7 contro una media di 2,3) e una minor quota di consiglieri indipendenti (48% contro una media del 57%). Sul fronte retributivo, i compensi medi fissi risultano inferiori rispetto alle società non familiari, con un emolumento medio per i consiglieri di 42mila euro contro i 65mila euro delle non familiari. Questo però potrebbe impattare sull’attrattività verso i talenti che coniugano competenze e seniority.
Fonte: Il Sole 24 Ore