
Travolti dalle onde delle storie a Ellis Island
«the stories disintegrate you like waves/ they break you into a thousand thousand faces» (le storie ti travolgono come onde / ti polverizzano in migliaia di migliaia di volti), afferma Robert Viscusi all’inizio del suo straordinario, misconosciuto poema Ellis Island. Le storie sono, anzi, possono essere, quelle dei 12 milioni di individui che approdarono sull’”isola delle lacrime” tra il 1892 e il 1954. «Un’intera nazione se ne andò dal medioevo, dormì nell’oceano, e si svegliò a New York nel ventesimo secolo», scriveva Viscusi nel romanzo Astoria, del 1995.
Duemila, cinquemila persone al giorno, che qui sbarcavano, accecati dallo splendore del nuovo mondo. Come i nonni di Viscusi, nato a Brooklyn nel 1941 da Vera Di Rocco (sarta) e Joseph (meccanico), che mai dimenticarono l’Italia, mai ci tornarono. Diedero invece origine a una genia di mangiatori di «cibo rosso». Mezzi italiani, mezzi americani, chimere che nessuno, nella terra degli avi o in quella dei figli, riconosceva quali propri simili. Come la loro letteratura, ancora ignorata, qui e là.
«now you disappear into the air of the brilliant bay/ the air like the water has its own laws its own domain» (ora scompari nell’aria della baia luccicante/ l’aria come l’acqua ha le sue leggi e i suoi domini). Svanire, metamorfizzarsi, non in una storia «ma in un’immagine di una storia nella storia» non appena la nave da cui sei sceso scompare all’orizzonte. «on the esplanade you dissolve in light/ becoming a mist» (sul lungomare ti dissolvi in luce/ diventando nebbia) ribadisce Viscusi in questo testo, un capolavoro, come afferma nella prefazione all’edizione italiana di abrigliasciolta, Martino Marazzi, professore di letteratura italiana dell’Università Statale di Milano e specialista di autori italoamericani. È l’opera di una vita, «un libro in versi dal respiro amplissimo (…), grande e maestoso come quelli della tradizione».
A Ellis Island la madre dell’autore sbarcò a quattro anni, venne rasata e tenuta in quarantena mentre fuori dalla finestra brillava la statua della libertà. Era «un luogo dove puoi pensare alla libertà ma non puoi toccarla» scriverà il figlio, che nel poema osserva: «they built us italies using us as slaves» (ci costruirono italie usandoci come schiavi). Un luogo che Vera mai dimenticò, e che per tutta la vita popolò i suoi incubi, così come quelli di una nazione. Un dramma collettivo, tramandato per generazioni.
Ellis Island è un poema che contiene moltitudini, come già accadeva all’origine della grande poesia americana nel progetto di Walt Whitman (osserva sempre Marazzi). Moltitudini – quella «macchia scura che passa le frontiere sulle carte geografiche e ne dissolve le forme» (la definirà Derek Walcott in Migranti) – che si mescoleranno e qualche volta si riconosceranno, come si riconoscono biunivocamente i componimenti dei 52 libri composti da 12 sonetti ciascuno, tanti versi quante le ore di 364 giorni. A due a due si rispecchiano, ma sono stati sparpagliati, e per trovare il sonetto corrispondente bisogna applicare una formula matematica.
Fonte: Il Sole 24 Ore