Tre corollari della manovra – Il Sole 24 ORE

Ci sono tre corollari della manovra 2025. Il primo è che conta anche ciò che non c’è, ciò di cui non si parla: la fiducia degli osservatori internazionali e dei mercati. Il fatto di aver rispettato le linee guida imposte dal Bruxelles per la correzione di rotta da imprimere al debito tranquillizza i nostri partner e gli investitori. Per questo lo spread è già sceso a 128 e ciò fa ben sperare per un risparmio non piccolo sul costo del debito, quindi sugli interessi che lo Stato paga ai risparmiatori (nel 2026 rischiamo di arrivare a 100 miliardi).

Il secondo è che oggi è stato rivelato che il Tesoro poteva contare su uno spazio fiscale di 18 miliardi da gestire per coprire le spese 2025. Una carta coperta di non poco peso. E la gran parte proviene dall’aumento dell’occupazione a tempo indeterminato ma anche dalla rivoluzione – ormai diventata ordinarietà – della fattura elettronica che ha fatto precipitare l’evasione dell’Iva di quasi il 50%.

Il terzo è un corollario che deve preoccupare: la parte dello sviluppo, della crescita e dunque degli investimenti resta appannaggio del Pnrr. La manovra ha poco sul punto salvo l’eventuale conferma della legge Sabatini per gli acquisti o per il leasing di beni strumentali; i cosiddetti contratti di sviluppo gestiti da Invitalia che guarda ai grandi investimenti soprattutto al Sud e infine i cosiddetti accordi per l’innovazione, vale a dire i contributi diretti per i progetti di ricerca industriale.

Tocca al Pnrr l’effetto spinta per la crescita del Pil che si sta spegnendo, tra l’altro dopo 18 mesi di calo della produzione industriale. Di Pnrr però non si parla più da un po’. C’è solo una certezza: nell’ultima fase l’Italia ha speso solo 8 dei 44 miliardi che doveva impiegare per le sei diverse missioni del piano. Il decreto collegato alla manovra cerca di dare una spinta ulteriore. Ma per adesso è solo una fatica di Sisifo.

Fonte: Il Sole 24 Ore