“Trenque Lauquen”, un film intrigante e pieno di misteri
Un’esperienza cinematografica tra le più intense dell’anno: è questo e molto altro “Trenque Lauquen”, film che coraggiosamente viene distribuito nelle nostre sale dopo la presentazione nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia 2022.
Una scelta non facile portarlo in Italia, un po’ perché di film sudamericani nei nostri cinema non ne arrivano poi moltissimi, ma ancora di più per la sua particolare struttura: “Trenque Lauquen” è infatti un progetto diviso in due parti, a loro volta suddivise in numerosi capitoli, per una durata complessiva che supera le quattro ore.
La regista Laura Citarella fa parte del collettivo del Pampero Cine, una delle realtà produttive più interessanti del cinema contemporaneo e un gruppo che ci ha abituato a progetti di lunga durata: “La flor” di Mariano Llinás del 2018, uno dei titoli più significativi della storia argentina, dura 14 ore ed è anch’esso un’esperienza a dir poco unica e ricca di stimoli importanti.Al centro di “Trenque Lauquen” c’è una donna che scompare all’improvviso. Due uomini si mettono in viaggio per cercarla: entrambi la amano. Perché se n’è andata? Ognuno di loro nutre i propri sospetti e li nasconde all’altro che, misteriosamente, non assurge mai al ruolo di vero rivale. Nessuno dei due ha ragione: ma chi ne ha del resto? Questa fuga improvvisa diventa il nucleo nascosto di una serie di storie che il film intreccia con delicatezza.È una pellicola ricca di misteri “Trenque Lauquen”, un lungometraggio che parla dei segreti del cuore di un’altra donna, ma anche dei segreti della vita di un villaggio di campagna governato da un evento soprannaturale che nessuno sembra percepire.
Il piacere della narrazione
Come in altri film del Pampero Cine (si pensi anche al bellissimo “Historias extraordinarias”, sempre di Llinás), “Trenque Lauquen” è una produzione in cui si percepisce tutto il piacere della narrazione, come se stessimo leggendo un magnifico romanzo che intreccia storia, vicende, in momenti, tempi e spazi differenti.È infatti anche un film di lettere segrete nascoste nei libri, di dichiarazioni di passioni silenziose, di mappe da studiare e legami da scoprire.Non c’è da preoccuparsi troppo della durata: Laura Citarella ci fa entrare in medias res nella vicenda fin dai primi minuti e l’intero progetto è un piacere straordinario da seguire e da interpretare. Anche noi spettatori giochiamo a fare i detective in questo progetto tanto semplice quanto monumentale, dotato di un’umanità sorprendente e di trovate drammaturgiche davvero originali.y
The Old Oak
Grandi emozioni le regala Ken Loach, con quello che dovrebbe essere l’ultimo film della sua carriera: “The Old Oak”.Ambientato in villaggio del nord-est dell’Inghilterra, il film racconta dei tanti giovani che stanno abbandonando quella terra dopo che le miniere del paesino sono state chiuse. È così che quella che un tempo era una fiorente comunità, si ritrova piena di rabbia, risentimento e senza un briciolo di speranza per il futuro.Le case tornano disponibili e a un prezzo economico, offrendo un posto sicuro ai rifugiati siriani giunti in Gran Bretagna negli ultimi anni. Ma come saranno accolti i siriani dalla gente del posto? E cosa ne sarà di The Old Oak, l’ultimo pub del villaggio? Parte da queste domande questo intenso dramma firmato dal regista vincitore di due Palme d’oro al Festival di Cannes: nel 2006 per “Il vento che accarezza l’erba” e nel 2016 con “Io, Daniel Blake”.Classe 1936, Loach prosegue a proporre un cinema arrabbiato, militante, sempre dalla parte degli ultimi, capace di scuotere e di far riflettere.Molte dinamiche narrative della pellicola le abbiamo già viste, ma il disegno d’insieme è comunque commovente e così appassionato da nascondere alcuni limiti che si possono riscontrare qua e là durante la narrazione.Se fosse davvero l’ultimo film della sua carriera, sarebbe davvero la degna chiusura di una filmografia di importanza capitale.
Fonte: Il Sole 24 Ore